Il football di Marcello Spadola: Mane' Garrincha "L'Angelo dalle ali storte"

ManèGarrincha"l'Angelodallealistorte" Se fosse un gioco razionale, se vincessero sempre i più forti, i più belli, i più bravi, se tutto seguisse un filo logico, forse non ci divertiremmo così tanto. Se non ci proponesse storie incredibili, che sfidano la ragione e tutto quello che ci hanno insegnato, non sarebbe lo sport più bello del mondo. Se nel calcio, di tanto in tanto, non nascesse uno come Manoel Francisco dos Santos, nulla avrebbe senso. Di gente come Manoel Francisco dos Santos, passato alla storia come Garrincha, in realtà, non ne nascono spesso, nè mai più ne nasceranno. Quella di Garrincha è una storia particolare, un romanzo in cui si intrecciano tutti gli alti e i bassi dell’esistenza umana, come se provassimo a mettere una poesia, meravigliosa, dentro un frullatore, e poi ci divertissimo, meravigliati, a guardare il risultato della nostra opera. La storia di Garrincha è unica, irripetibile e maledettamente romantica seppur venata di profonda tristezza.



Manè Garrincha in una sua tipica azione








E’ stato il giocatore più amato in Brasile. Pelé, Jairzinho, Zico, Falcao, Romario, Ronaldo, Neymar, Ronaldinho, nessuno di loro ha mai raggiunto la popolarità e l’amore dei brasiliani per Manoel Francisco dos Santos, per tutti Garrincha “uccellino”. E' stato anche, mi sembra di poter dire, uno dei più meravigliosi interpreti della storia del calcio, colui che è riuscito ad elevare il gesto tecnico del dribbling a vera e propria opera d’arte. Perso tra l’amore per le donne e quello per l’alcol, quattordici figli riconosciuti in giro per il mondo e migliaia di litri di cachaça tracannati, ha inseguito il pallone fino a non accorgersi che era arrivato a dribblare il mare troppo al largo. Oltre il punto di non ritorno.
La Coppa del Mondo del 1958, giocatasi in  Svezia, pur così lontana nel tempo, è ancora viva e nitida nei miei ricordi di quattordicenne con la passione del calcio. La passione nei confronti della sfera di cuoio divenne consapevolezza di un sentimento più profondo, proprio in quell'occasione grazie alle giocate talentuose del diciassettenne Pelè, dei Kopa, i gol di Fontaine capocannoniere del torneo, e i dribbling funambolici e tutto il resto di Garrincha che, schierato titolare nel terzo match quello contro la Russia, imposto dai senatori dello spogliatoio cioè Didi, Nilton Santos, Zito e Zagalo, giocò i tre minuti più devastanti della storia del calcio"una traversa,un tiro salvato con un miracolo da Yashin, un irresistibile assist per Pelè. Semplice e misterioso nello stesso tempo, il calcio, nonostante abbia perso molto della "freschezza" di quegli anni.continua ad affascinare milioni e milioni di persone di tutti i Continenti.




Manè Garrincha in Nazionale ai Mondiali in Cile del 1962



La Nazionale del Brasile che vinse il Mondiale in Cile


Lo stadio di Brasilia intitolato a Manè Garrincha


Se pensate che sia difficile nascere in una favela brasiliana oggi, provate a immaginare cosa doveva essere nascere nel 1933 a Pau Grande, nella regione metropolitana di Rio de Janeiro. Il piccolo Manè nasce in totale povertà e indigenza, e una brutta forma di poliomelite gli lascia anche addosso dei segni piuttosto pesanti. Un’operazione da fare, con la riabilitazione che non è esattamente quella di adesso, e con una bocca da sfamare che non sempre trova qualcosa da mettere sotto i denti. Le sue biografie raccontano di un piccolo Manè che cresce più della sua gamba destra, che resterà sei centimetri più corta di quella sinistra. Con una gamba corta e storta, il giovane Manè diventa Garrincha, il passerotto, un uccellino fragile, che con un soffio di vento può volare via e sfracellarsi al suolo. Con un fisico così, e con una colonna vertebrale in cui non è sicuro che tutte le vertebre siano al loro posto, giocare a calcio dovrebbe essere l’ultima cosa cui pensare e invece al piccolo Manè il pallone piace così come gli piace correre, ma soprattutto gli piace andare via con il pallone al piede. Il pallone sembra incollato al suo piede e non si stacca nemmeno a tirarglielo via perchè lui corre veloce, con il sorriso stampato sul volto. Gioca per strada, gioca con qualche squadra del dopolavoro. Non ha mai pensato di diventare un professionista, anzi è molto probabile che non sappia nemmeno che c’è gente che viene pagata per giocare a calcio.



Garrincha attorniato da ragazzini in festa.


I biografi scrivono che nel 1953, mentre gioca con una squadra di dilettanti, quasi lo costringono a fare un provino con il Botafogo a Rio e Manè, quel giorno, piazzato sulla fascia destra, mette in mostra quello che sa fare ed è parecchia roba. Nilton Santos, leggendario terzino della nazionale verdeoro e che ha un soprannome che dice tutto"Enciclopedia", esce praticamente umiliato da quella partitella ed è proprio lui a convincere la dirigenza del Botafogo a comprare quel ragazzino con le gambe storte e il dribbling più entusiasmante che si sia visto in Sudamerica. Cinquecento cruzeiros, costa il primo cartellino di Garrincha,.l’equivalente di 27 dollari, la cifra più bassa che sia mai stata scritta su un contratto professionistico nella storia del calcio brasiliano.
Gli basta poco per dimostrare a tutto il mondo cosa può fare un angelo con le gambe storte. Corre, dribbla, tira sassate micidiali con cui stende i portieri avversari, mette in mezzo palloni che i compagni devono solo spingere in rete e si diverte anche a irridere gli avversari, si diverte a superarli, tornare indietro, superarli di nuovo e ripartire. Non lo prende nessuno, diventa l’ala destra più forte del mondo in pochissimo tempo. Nel 1955 fa il suo esordio in nazionale, una squadra che ha dell’incredibile. Nel 1958 quella squadra vince i Mondiali ma Manè Garrincha non se ne accorge subito. Quando finisce l’ultima partita, quella contro la Svezia, decisa dalle doppiette di Vavà e Pelè e dal gol di Zagallo, Garrincha si trova stupito a guardare i suoi compagni che piangono, piangono di gioia come bambini. Non se lo spiega, Manè perciò si avvicina al suo capitano Hilderaldo Bellini e gli chiede come mai stiano piangendo tutti. “Abbiamo vinto la Coppa, Manè“. “Ma come? E la partita
di ritorno non la giochiamo?”




Garrincha e Nilton Santos




La formazione verde oro che vinse i Mondiali in Svezia nel 1958




Garrincha e Pelè



Garrincha è così, un bambino a cui basta avere il pallone tra i piedi, un bambino che spesso non capisce neanche quello che gli sta succedendo intorno. Proprio durante il ritiro pre mondiale svedese, i medici della nazionale brasiliana hanno stilato un rapporto psicologico, corredato di test d’intelligenza, per ognuno dei giocatori verdeoro. Il rapporto su  Garrincha recita “Ha la psiche di un bambino di quattro anni, non ha l’intelligenza per fare l’autista di omnibus.” Il che non gli impedisce di dominare la fascia destra con il suo talento, non gli impedisce di esercitare la sua incredibile arte del dribbling.
Il Mondiale del 1962 è quello della definitiva consacrazione, quello in cui mette in mostra un calcio praticamente totale. E’ il padrone della fascia, si accentra, segna come un dannato. e con Pelè infortunato è lui che si carica la squadra sulle spalle e si fa anche cacciare per un calcione nel sedere ad un difensore del Cile durante la semifinale. Si deve muovere la diplomazia internazionale per fargli togliere la squalifica e con un capolavoro degno dei migliori trattati, qualcuno convince il direttore di gara a ritrattare con un :"Clamoroso, mi sono sbagliato non era Garrincha quello del calcio nel sedere al cileno, era un’altra persona. Scusate"
Il Brasile vince ovviamente il torneo e Garrincha è capocannoniere con 4 gol segnati.
Come tutte le esistenze di chi viene dalla povertà e dalla miseria, probabilmente questa vita non fa per lui. Beve, e parecchio tanto che i compagni più di qualche volta devono letteralmente strappargli la bottiglia di mano.
Spesso non può presentarsi in campo, versa in condizioni pietose. Il calcio diventa sempre più marginale nella sua vita. Sposa la stella brasiliana della musica Elza Soares e siccome il destino si diverte spesso a sparecchiare quello che l’uomo mette in tavola, sarà un rapporto turbolento, triste, sconclusionato.
Come una stella che splende, luminosa in cielo, Garrincha si brucia troppo in fretta.  L’apice dei Mondiali cileni lascia ben presto il passo al lato oscuro della sua vita. Bottiglia, bottiglia e ancora bottiglia. Le cronache dell'epoca riportano di un paio di brutti incidenti stradali, e di una bussola che sembra irrimediabilmente persa.
Garrincha continua a correre, solo che stavolta accelera verso il baratro. Molla il calcio agonistico, segue la moglie nei suoi tour europei e di tanto in tanto fa qualche apparizione in qualche partita di esibizione. Non c’è più traccia dell’angelo dalle gambe storte che incantava il mondo e la gioia e l’allegria hanno già lasciato il posto alla depressione più nera.
A metà dell'alba, alle sei del mattino del 21 gennaio del 1983 muore, consumato dall'alcol e dalle malattie a soli 49 anni, Garrincha, uno dei pochi brasiliani che non ha bisogno di presentazioni perchè anche chi non sa di football sa che fu un genio del dribbling ed eroe di due campionati del mondo. L’alcol che lo ha bruciato ed un edema polmonare si portano via il giocatore più amato del Brasile. Il suo paese gli riserva l'addio spontaneo e commovente di una folla oceanica di gente in lacrime, che accompagna la bara nel tragitto che va dall’ospedale al cimitero di Raiz da Serra. L’allegria della gente quel giorno diventò infinita tristezza. Se ne era andato quello che faceva sognare, ma che faceva anche tenerezza, con quelle sue gambe storte dalle quali nessuno pensava potessero partire quei siluri e quell’andatura sbilenca e sconclusionata che mai pensavi ti avrebbe potuto fregare. E invece i difensori restavano lì, a chiedersi cosa fosse appena successo mentre Garrincha se ne andava via, lasciando tutti sul posto.
fonti varie
Marcello Spadola

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