Il Football di Marcello Spadola: Enrique Omar Sivori
Nato il 2 ottobre 1935 Omar Sivori avrebbe compiuto oggi 84 anni. A questo straordinario fuoriclasse mi lega il ricordo di un pomeriggio del 1961 a Torino. In quell'anno fui acquistato dalla Juventus ed inserito nella squadra "Primavera". Al campo "Marchi" il giovedì era partita di allenamento tra prima squadra e una mista tra riserve e giovani della "Primavera". Solitamente me la dovevo vedere con Benito Sarti e non ...aggiungo altro perchè era un duello tra due alti sul metro e ottantacinque aitanti e vogliosi di mettersi sempre in evidenza e quindi potete facilmente immaginare come andava a finire. Poi un giorno, senza preavviso Ercole Rabitti mi disse "Oggi giochi con la "prima" all'ala sinistra e ricordati che mezzala è Omar Sivori così scatta in profondità, fatti vedere che la palla ti arriverà al millimetro sui piedi" e così fu. Dopo averlo visto in foto e in campo durante le partite di campionato non avrei mai immaginato di giocare un giorno al suo fianco. Non dimenticherò mai le emozioni e la sua voce profonda e roca che mi incitava al grido di "vai ragazzo" che ancora oggi mi accompagna.
Era stato troppo geniale e particolare per allevare calciatori, troppo individualista per fare l'allenatore. Lui gli allenatori li faceva impazzire, di felicità o di rabbia, così chiusa la parentesi calcistica Sivori si ritirò nelle terre che aveva acquistato dove allevava bestiame. Sivori era furbo, molto, e in possesso di un sinistro abbagliante. A Napoli, dove si erano beati con entrambi, stabilirono che solo il sinistro di Maradona era superiore a quello di Omar Enrique Sivori, pure lui provvisto di un fisico non vistoso ma compatto. Era arrivato in Italia nella stessa infornata di Angelillo e Maschio, detti "los angeles con la cara sucia", gli angeli con la faccia sporca. Tutti e tre si erano laureati, come Di Stefano, all'università della strada. Maschio era un centrocampista portato alla regia, Angelillo un goleador travestito da ballerino di tango (quel filo di baffi, quella scriminatura impeccabile), Sivori un fantasista per vocazione e provocazione. Erano oriundi, giocarono nella Nazionale azzurra senza lasciare grandi tracce. Sivori fece anche parte della spedizione cilena del '62. Senza storia, si ricordano due gol suoi in un 6-0 a Israele, nel girone di qualificazione, a Torino. "Se Omar si fosse allenato, sarebbe stato forse il più grande" diceva Pesaola. Già così, allenandosi poco e malvolentieri, è stato grandissimo. Giocava col pallone come un gatto col gomitolo, teneva sempre i calzettoni abbassati (alla cacaiola, diceva Brera), senza parastinchi, sostenendo che gli dava fastidio l'elastico, che gli toglieva sensibilità alle gambe. Molti e molti anni dopo, quando collaborava con la Rai,disse che lo faceva perché riteneva più difficile che i difensori picchiassero uno che si presentava così disarmato. Di botte ne prendeva, ma erano più numerose quelle che dava. Erano gli anni, lo dico per i più giovani, in cui lo stopper o il libero tiravano coi tacchetti una riga fuori dall'area di rigore e dicevano agli attaccanti: se la passi ti rompo una gamba. Sivori non solo la passava allegramente, ma aveva la fissazione di umiliare l'avversario facendogli tunnel, e magari aspettandolo, per farglielo una seconda volta. E così un giorno a Torino uno stopper del Catania, Grani, gli disse: al ritorno ti rompo una gamba. E Sivori, calmissimo: va bene, ma cerca di fare presto altrimenti te la rompo prima io. E così andò, col piede di Sivori a martello sul ginocchio di Grani. I vecchi a Padova si ricordano ancora del loro portiere (Moro o Pin, ho questo dubbio) che becca un gol su rigore e rincorre Sivori fino agli spogliatoi anche se l'arbitro non ha ancora fischiato la fine. La Juve vinceva di tre o quattro gol, mancava poco. Occhiata implorante del portiere a Sivori che dice: non ti preoccupare te lo tiro sulla sinistra. Moro - o Pin - si butta e la palla va dall'altra parte. Sivori era fatto così. Però Bearzot, che l'ha dovuto marcare diverse volte con la maglia del Torino, ed erano derby di fuoco, mi ha detto che a lui di tunnel Sivori non ne ha mai fatti. "Omar sapeva essere carogna con le carogne, se uno lo marcava duro ma leale anche lui era leale". Gli Agnelli e tutto il pubblico juventino stravedevano per Sivori, pur sapendo della sua enorme passione per il poker notturno, il whisky e le sigarette.
Non stravedeva Boniperti, che preferiva l'onesta fatica di Charles, da servire con passaggi lunghi e dritti. Mentre Sivori voleva la palla sul piede, da fermo e poi ci pensava lui a trasformarla in un fuoco d'artificio.
E' vero che non s'è mai allenato bene, non riteneva di averne bisogno. Col pallone faceva quello che voleva, e allora bastava la tecnica a fare la differenza. L'etichetta di genio e sregolatezza gli va a pennello, pochi hanno raggiunto la sua perfezione nel dribbling e, se ne aveva voglia, dell'assist.
Poco diplomatico da giocatore, non era cambiato da commentatore. Andava giù piatto, giudizi netti, forse troppo per la prudenza dell'emittente di Stato. Il calcio della tonnara non gli piaceva e non faceva nulla per nasconderlo.Era sincero, anche a costo di ferire. Qualche bugia l'aveva raccontata, pro domo sua. Come quando Brera gli chiese da che zona fossero arrivati in Argentina i suoi. Da Pavia, rispose prontamente Sivori che aveva i suoi informatori. Invece venivano da Genova. Ma da quel giorno, giudicandolo un paìs, Brera prese sotto l'ala l'imprevedibile mattocchio.
Gli sia lieve la terra, è il minimo che si possa dire a chi ci ha fatto divertire quando giocare a calcio significava solo quello, giocare.
fonti varie
Marcello Spadola
Anno 1961: Sivori vince il Pallone d'oro |
Omar Sivori tra John Charles e Giampiero Boniperti |
Gianni Agnelli in persona è all’aeroporto ad attenderlo e tra un generale scetticismo malcelato, spunta un ometto dall’aria di chi la sa lunga. Fu Renato Cesarini a consigliare la Juventus di acquistare Sivori. I bianconeri mettono sul piatto del River Plate 10 milioni di pesos e battono la concorrenza di Inter e Real Madrid. Insieme a lui arriva il gallese John Charles, un tipico armadio a tre ante del calcio britannico. Nessuno potrebbe mai immaginare un connubio così strampalato. I due sono diversi in tutto, sia sul piano calcistico che caratteriale: narcisista, cattivo in campo, dribblomane innamorato del pallone e scafato l’argentino, buono, generoso, posato e forte nel gioco aereo il gallese. Charles, in fondo, rappresenta la disciplina e il senso del dovere nella Juventus, due tra i comandamenti scolpiti sulle tavole della legge juventina, e l’omaccione venuto dal Galles riesce quantomeno ad arginare la furia anarcoide del gaucho Sivori e di cui ha dichiarato in una intervista "Sivori arrivò una settimana dopo di me. Lui parlava spagnolo e io inglese, non capivamo nulla delle nostre conversazioni… Per me è stato il miglior giocatore di sempre.»
Gianni Agnelli diceva che per chi ama il calcio Sivori è più di un fuoriclasse, è un vizio. Non il solito vizio che alla lunga risulta dannoso per la salute, ripetitivo e compulsivo, ma una inafferrabile e trascinante tentazione da scoprire e contemplare in tutte le sue sfaccettature. E come tutti i vizi, la lettura della storia di Sivori o la visione di filmato d’epoca che racconta la sua intensa carriera sui campi di calcio, sono piaceri che valgono la pena gustare tra amici, meglio se con un sigaro cubano tra le labbra e sorseggiando un bicchiere di rum invecchiato.
Sivori, sul rettangolo di gioco, è l’irriverente e incosciente che con il suo mancino benedetto provoca impunemente gli avversari di un calcio più “maschio”, in cui le vendette dei difensori feriti nell’orgoglio erano un fatto ordinario, sicuramente più tollerato.Genio raffinato e selvaggio, rissoso e perverso, a tratti sadico nel suo incedere irridente, il vizio Sivori si palesa brevettando un’arma come il tunnel per umiliare gli avversari, e danza con il pallone sul filo del rasoio, rischiando le gambe con dribbling continuati, ossessivi e ostinati. Oltre ai gol, alle vittorie, agli attestati di stima per la sua classe, in undici anni di carriera in Italia colleziona ben 33 giornate di squalifica. Quasi un intero campionato a 18 squadre. Per provare a giustificarsi Sivori se ne esce con una frase che rovescia totalmente le responsabilità: «Il giocatore di talento pensa a come ricevere il pallone, a come controllarlo, a come dribblare l’avversario. Il difensore, spesso, pensa solo a come picchiarlo». In realtà nella vita fuori dal campo Sivori è una persona educata e corretta, come amava ripetere ai cronisti John Charles, il suo gemello diverso che è stato al suo fianco in campo durante la romanzesca epopea juventina di fine anni ’50 e inizio anni ’60.Era stato troppo geniale e particolare per allevare calciatori, troppo individualista per fare l'allenatore. Lui gli allenatori li faceva impazzire, di felicità o di rabbia, così chiusa la parentesi calcistica Sivori si ritirò nelle terre che aveva acquistato dove allevava bestiame. Sivori era furbo, molto, e in possesso di un sinistro abbagliante. A Napoli, dove si erano beati con entrambi, stabilirono che solo il sinistro di Maradona era superiore a quello di Omar Enrique Sivori, pure lui provvisto di un fisico non vistoso ma compatto. Era arrivato in Italia nella stessa infornata di Angelillo e Maschio, detti "los angeles con la cara sucia", gli angeli con la faccia sporca. Tutti e tre si erano laureati, come Di Stefano, all'università della strada. Maschio era un centrocampista portato alla regia, Angelillo un goleador travestito da ballerino di tango (quel filo di baffi, quella scriminatura impeccabile), Sivori un fantasista per vocazione e provocazione. Erano oriundi, giocarono nella Nazionale azzurra senza lasciare grandi tracce. Sivori fece anche parte della spedizione cilena del '62. Senza storia, si ricordano due gol suoi in un 6-0 a Israele, nel girone di qualificazione, a Torino. "Se Omar si fosse allenato, sarebbe stato forse il più grande" diceva Pesaola. Già così, allenandosi poco e malvolentieri, è stato grandissimo. Giocava col pallone come un gatto col gomitolo, teneva sempre i calzettoni abbassati (alla cacaiola, diceva Brera), senza parastinchi, sostenendo che gli dava fastidio l'elastico, che gli toglieva sensibilità alle gambe. Molti e molti anni dopo, quando collaborava con la Rai,disse che lo faceva perché riteneva più difficile che i difensori picchiassero uno che si presentava così disarmato. Di botte ne prendeva, ma erano più numerose quelle che dava. Erano gli anni, lo dico per i più giovani, in cui lo stopper o il libero tiravano coi tacchetti una riga fuori dall'area di rigore e dicevano agli attaccanti: se la passi ti rompo una gamba. Sivori non solo la passava allegramente, ma aveva la fissazione di umiliare l'avversario facendogli tunnel, e magari aspettandolo, per farglielo una seconda volta. E così un giorno a Torino uno stopper del Catania, Grani, gli disse: al ritorno ti rompo una gamba. E Sivori, calmissimo: va bene, ma cerca di fare presto altrimenti te la rompo prima io. E così andò, col piede di Sivori a martello sul ginocchio di Grani. I vecchi a Padova si ricordano ancora del loro portiere (Moro o Pin, ho questo dubbio) che becca un gol su rigore e rincorre Sivori fino agli spogliatoi anche se l'arbitro non ha ancora fischiato la fine. La Juve vinceva di tre o quattro gol, mancava poco. Occhiata implorante del portiere a Sivori che dice: non ti preoccupare te lo tiro sulla sinistra. Moro - o Pin - si butta e la palla va dall'altra parte. Sivori era fatto così. Però Bearzot, che l'ha dovuto marcare diverse volte con la maglia del Torino, ed erano derby di fuoco, mi ha detto che a lui di tunnel Sivori non ne ha mai fatti. "Omar sapeva essere carogna con le carogne, se uno lo marcava duro ma leale anche lui era leale". Gli Agnelli e tutto il pubblico juventino stravedevano per Sivori, pur sapendo della sua enorme passione per il poker notturno, il whisky e le sigarette.
Non stravedeva Boniperti, che preferiva l'onesta fatica di Charles, da servire con passaggi lunghi e dritti. Mentre Sivori voleva la palla sul piede, da fermo e poi ci pensava lui a trasformarla in un fuoco d'artificio.
O lui o io, disse Heriberto. Così Sivori andò al Napoli, dove diventò lo scugnizzo, anche se non era più di primo pelo, e i tifosi cantavano "vide omàr quant'è bello". E quando arrivò alla Juve vinse il Napoli, gol di Altafini su assist di Sivori. Sivori andò a prendere il pallone nella porta della Juve, andò piano verso il centrocampo e arrivato all'altezza della panchina di Heriberto gli tirò il pallone addosso. Ma non volgarmente, con forza, no, un tocchetto leggero, da gatto. Altre volte reagiva da toro. In una partita col Real lo sfotteva in continuazione Pachin: ti manca solo la piuma in testa per essere un indio. La risposta di Sivori fu una tremenda craniata sul naso.
Un prezioso ricordo dell'anno in maglia bianconera: Foto con Sivoried altri compagni della "Primavera" |
Poco diplomatico da giocatore, non era cambiato da commentatore. Andava giù piatto, giudizi netti, forse troppo per la prudenza dell'emittente di Stato. Il calcio della tonnara non gli piaceva e non faceva nulla per nasconderlo.Era sincero, anche a costo di ferire. Qualche bugia l'aveva raccontata, pro domo sua. Come quando Brera gli chiese da che zona fossero arrivati in Argentina i suoi. Da Pavia, rispose prontamente Sivori che aveva i suoi informatori. Invece venivano da Genova. Ma da quel giorno, giudicandolo un paìs, Brera prese sotto l'ala l'imprevedibile mattocchio.
Gli sia lieve la terra, è il minimo che si possa dire a chi ci ha fatto divertire quando giocare a calcio significava solo quello, giocare.
fonti varie
Marcello Spadola
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