Il Cerebro connesso: Un educativo e coinvolgente domanda e risposta sull'alcolismo
Questa mattina, di ritorno in auto verso casa dopo alcune ore trascorse in spiaggia,.... a proposito quanto sono belle a Senigallia le acque del mare di Ponente...!!, ho acceso, come ormai solitamente faccio con un gesto automatico, la radio, la cara vecchia radio......... Buongiorno a tutti, benvenuti a questa nuova puntata, benvenuti soprattutto a questo approfondimento che dedichiamo all'alcool........ queste le prime parole che sento e incuriosito dalla vivace autorevolezza della conduttrice non cambio canale per ascoltare della buona musica.......Vorrei cominciare, vorrei partire....continua la conduttrice da qualche tempo fa dal "Mese di prevenzione alcoologica". Questa importante iniziativa ha avuto come obiettivo quello di focalizzare prevenzione, politiche, trattamento e aumentare anche la consapevolezza. Vorrei partire proprio da qui e vorrei farlo con....... benvenuto e ben trovato Professore e allora anch'io ...ormai... mi sono accomodato idealmente nello Studio RAI.
Dottoressa e professore continuano in questo coinvolgente, educativo "Domanda e risposta".
"Aumentare la consapevolezza" quindi ed io mi sono andata a riguardare da quanto tempo esiste la "Compréhension day" e allora Professore le chiedo subito: "Alla luce di tutto quello che è successo, dal cambiamento dei nostri comportamenti nelle abitudini, dei modelli di relazione, del profilo del bevitore quanto è servito comunicare e aumentare la consapevolezza in questi anni dal suo punto di vista" ? E' servito sicuramente ad abbattere i consumi perché noi partivamo, negli anni 90 intorno bene o male a livelli che sono ben più del doppio rispetto a quelli che oggi rileviamo. Oggi possiamo parlare di circa 7,6 litri pro-capite di alcool puro sulle spalle di ciascun italiano mentre negli anni 90 parlavamo di quasi 19, quindi il drastico calo che era stato richiesto anche dalle strategie comunitarie e soprattutto anche dalla prevenzione nazionale, è stato raggiunto.
Il problema che noi rileviamo è quello della distribuzione del consumo che è sempre uno zoccolo duro cioè quanti sono i consumatori a rischio e chi sono i consumatori. Quando ci andiamo a confrontare con questi dati, ci rendiamo conto che avere una platea di 8 milioni e mezzo di consumatori a rischio, di cui circa 6 maschi e due milioni e mezzo femmine all'incirca e ritrovarli distribuiti soprattutto nelle fasce più vulnerabili che sono i giovanissimi al di sotto dell'età minima legale, gli anziani ultrasessantacinquenni e le donne è ovvio che ci sono, diciamo, delle riflessioni da fare.Qualsiasi "policymakers" deve essere indotto a farle dalla lettura dei dati e dei trend pur positivi. E' cambiata molto la relazione donna- alcol in questi anni. "Perché è cambiata dal suo punto di vista e perché risultano particolarmente vulnerabili le donne ? "
Mah, prima di tutto, fisiologicamente. La natura non dà loro pari opportunità perché possano consumare in quanto hanno un sistema metabolico che è la metà, in termini di efficienza rispetto a quello dell'uomo, soprattutto in quelle più giovani. Noi abbiamo tre categorie: le giovanissime quindi le minori, poi abbiamo le giovani donne e poi le anziane. Sono tre mondi completamente differenti ed è chiaro che ci troviamo in presenza di un fenomeno complesso dove la donna arriva tardi rispetto all'uomo. Come per il fumo che rappresenta un valore di emancipazione, una adesione ad un modello di marketing alle quali le donne sono molto più propense ad aderire proprio per una questione di essere considerate "trendy" piuttosto che "fashion" come nella moda.
Oggi come oggi vedere delle donne che consumano in un locale pubblico è la norma mentre fino a qualche anno fa era sconveniente dal punto di vista sociale. "Ha perfettamente ragione perché le adolescenti bevono quanto i coetanei maschi un po' di tutto e tra l'altro, almeno dai dati sembra che bevano qualunque cosa purché sia alcolica e soprattutto come lei diceva prima e forse non l'ha detto abbastanza e vorrei che lei ci tornasse. il loro organismo non è maturo per smaltire l'alcol soprattutto se bevono molto giovani." Assolutamente vero, perché prima dei 18 anni sia maschi che femmine non hanno la capacità di metabolizzare l'alcol perché l'organismo non è pronto. Non c'è l'enzima che distrugge l'alcol tra i 18 e i 25 anni. Devono completare lo sviluppo del cervello e qualsiasi quantità di alcol consumato, interferisce con lo sviluppo in senso razionale e si rimane cristallizzati ad una cognitività tipicamente adolescenziale per cui abbiamo un adulto che è magari più permaloso, più aggressivo, più depresso proprio in funzione del fatto che non ha sviluppato quella parte razionale, la corteccia prefrontale o il collegamento con la corteccia prefrontale del cervello. Questo è qualcosa di cui i giovani devono essere informati ben prima che arrivino all'età adolescenziale in cui tutto è critica e se io dico, guarda che ti fa male, probabilmente viene preso come una proibizione più che come un messaggio di tutela. Esatto. "C'è la fascia diciamo che riguarda le quarantenni, le donne che in qualche modo trovano nell'alcool invece la possibilità di sentirsi maggiormente disinibite e forse anche arricchite da questi comportamenti maschili, che non so poi quanto siano virtuosi, ma sicuramente sono dei modelli importanti per avere una maggiore fiducia in se stesse. Questa fascia di persone, che tra l'altro sono anche in una fascia importante perché possono essere donne fertili, donne che comunque possono avere anche figli, secondo lei sono consapevoli del rischio che corrono bevendo alcol in gravidanza? Secondo quelle che sono le nostre evidenze no. Più del 50% delle donne italiane in gravidanza continua a bere. Non c'è quella informazione capillare che dovrebbe derivare ad esempio dai contesti in cui magari le donne si fanno visitare. Identificare precocemente il rischio alcol, collegato soprattutto a contesti e circostanze di vita che precludono il consumo di alcol dovrebbe essere un compito naturale da parte del medico ma il medico in Italia non è formato sull'alcol. Solo il 30% sa o integra nel colloquio le domande: quanto consuma? con che frequenza? Se gli capita di intossicarsi magari con 56 bevande alcoliche in un unico contesto solo il 30% dei medici è in grado di fare il colloquio motivazionale cioè quello che serve per far cambiare le persone che sono consumatrici a rischio ma che ancora non hanno ricevuto quella informazione che possa consentire loro di fare delle scelte informate. Far capire che l'alcool in gravidanza determina un problema, la sindrome feto alcolica, su tuo figlio non su quello di un'altra è qualcosa di importante perché la madre deve tenere a suo figlio. L'alcool che si consuma in gravidanza va a finire nel futuro del bambino per cui come diciamo nello slogan della campagna di sensibilizzazione" Una vita che nasce teme l'alcool" quindi in gravidanza non bere è un messaggio semplice ma di grande cultura e di grande sensibilità. Io volevo anche toccare con lei altri punti. L'alcool e la guida, lo sappiamo bene, è una cosa che vi sta particolarmente a cuore nelle campagne di sensibilizzazione ma ci sono anche l'alcool, la violenza e i maltrattamenti visto che stiamo trattando il tema al femminile. Basta vedere quello che succede oggi nei tribunali. Quando si parla di maltrattamento ai minori, di danni al coniuge o quant'altro di violenza molto spesso l'alcol è coinvolto. Molto spesso, sempre più spesso c'è anche il discorso della incapacità di riconoscere il rischio nella trasmissione delle malattie quelle legate ad esempio l'AIDS. L'alcool abbassa la percezione del rischio per cui, anche se una persona si trova in una situazione normale, non riesce a comprendere in uno stato di ebbrezza quello che effettivamente succede intorno a sé. Perdere la capacità di controllo fa vivere certe situazioni in termini di subire qualche cosa dagli altri ma anche essere parte attiva nel determinare azioni impossibili in condizioni di sobrietà. Soprattutto per la donna è un elemento di estrema tutela e anche di sicurezza personale mantenere la propria capacità di controllo e essere presente a se stessa soprattutto nei contesti in cui non c'è familiarità di azione e di interazione con le persone. Prima parlavamo di comportamenti che si sono letteralmente modificati, di abitudini cambiate, del cambiamento del profilo del bevitore e di modelli di relazione completamente nuovi. Quando si perde o si può perdere il controllo, il punto limite sul bere Professore? In realtà siamo tutti più esposti di quanto ci possiamo rendere conto?
Sicuramente molto di più perché non si è lavorato molto sul concetto di limite in Italia ed è qualcosa su cui si dovrebbe sin dalla famiglia incominciare a ragionare. Il limite è molto basso, l'asticella è molto bassa. Gli uomini non dovrebbero superare più di due bicchieri al giorno, se scelgono di bere le donne più di uno e i giovani al di sotto dei 18 anni mai, gli ultrasessantacinquenni mai più di uno. Superati questi livelli il rischio aumenta per 220 patologie e 14 tipi di cancro. L'alcol è la prima causa di morte tra i giovani in Italia. Allora ragionare in termini di semplicità, di frasi la moderazione non esiste se non si conosce il limite. Allora il limite è qualcosa sul quale bene o male bisogna far ragionare i ragazzi perché i ragazzi non hanno paura della malattia della morte o di qualcos'altro, hanno paura del limite oltre il quale scatta, ad esempio, la sanzione di esclusione dal gruppo. Quindi è su questo che bisogna lavorare perché molti lo fanno per aggregarsi, per essere inclusi nel gruppo ma vengono poi estromessi nel momento in cui sono causa di una serata di inferno perché una persona non è stata in grado di reggere l'alcool o di gestirlo. Paradossalmente c'è anche il discorso che va applicato alle persone più grandi perché sta diventando anche quella un'emergenza in quanto anche lì si sta perdendo molto più facilmente il senso del limite. Probabilmente perché bere è divertente, bere fa stare insieme perché ci sono tutte quelle cose piacevoli legati al bere che purtroppo abbiamo tentato disperatamente di raccomandare come delle cose non necessariamente uniche in relazione al bere. Perché bere troppo fa male e questa è una cosa che purtroppo spiacevole da sentire ma è la verità. Assolutamente vero, ne sono consapevole ed ecco perché cerco di trasmettere questa consapevolezza soprattutto agli adulti competenti, che hanno a che fare con le agenzie educative e con i giovani. I giovani sono importanti. Non possiamo lasciare costruire delle dimensioni fatte di uso di sostanze chimiche come l'alcool o come la cannabis o come le droghe o come le varie altre diciamo sostanze che hanno fatto di questa generazione, una generazione chimica.
Trasmissioni come questa su temi così importanti ed attuali fanno onore alla RAI per il servizio pubblico che rendono.
fonti varie
Marcello Spadola
Dottoressa e professore continuano in questo coinvolgente, educativo "Domanda e risposta".
Il problema che noi rileviamo è quello della distribuzione del consumo che è sempre uno zoccolo duro cioè quanti sono i consumatori a rischio e chi sono i consumatori. Quando ci andiamo a confrontare con questi dati, ci rendiamo conto che avere una platea di 8 milioni e mezzo di consumatori a rischio, di cui circa 6 maschi e due milioni e mezzo femmine all'incirca e ritrovarli distribuiti soprattutto nelle fasce più vulnerabili che sono i giovanissimi al di sotto dell'età minima legale, gli anziani ultrasessantacinquenni e le donne è ovvio che ci sono, diciamo, delle riflessioni da fare.Qualsiasi "policymakers" deve essere indotto a farle dalla lettura dei dati e dei trend pur positivi. E' cambiata molto la relazione donna- alcol in questi anni. "Perché è cambiata dal suo punto di vista e perché risultano particolarmente vulnerabili le donne ? "
Mah, prima di tutto, fisiologicamente. La natura non dà loro pari opportunità perché possano consumare in quanto hanno un sistema metabolico che è la metà, in termini di efficienza rispetto a quello dell'uomo, soprattutto in quelle più giovani. Noi abbiamo tre categorie: le giovanissime quindi le minori, poi abbiamo le giovani donne e poi le anziane. Sono tre mondi completamente differenti ed è chiaro che ci troviamo in presenza di un fenomeno complesso dove la donna arriva tardi rispetto all'uomo. Come per il fumo che rappresenta un valore di emancipazione, una adesione ad un modello di marketing alle quali le donne sono molto più propense ad aderire proprio per una questione di essere considerate "trendy" piuttosto che "fashion" come nella moda.
Oggi come oggi vedere delle donne che consumano in un locale pubblico è la norma mentre fino a qualche anno fa era sconveniente dal punto di vista sociale. "Ha perfettamente ragione perché le adolescenti bevono quanto i coetanei maschi un po' di tutto e tra l'altro, almeno dai dati sembra che bevano qualunque cosa purché sia alcolica e soprattutto come lei diceva prima e forse non l'ha detto abbastanza e vorrei che lei ci tornasse. il loro organismo non è maturo per smaltire l'alcol soprattutto se bevono molto giovani." Assolutamente vero, perché prima dei 18 anni sia maschi che femmine non hanno la capacità di metabolizzare l'alcol perché l'organismo non è pronto. Non c'è l'enzima che distrugge l'alcol tra i 18 e i 25 anni. Devono completare lo sviluppo del cervello e qualsiasi quantità di alcol consumato, interferisce con lo sviluppo in senso razionale e si rimane cristallizzati ad una cognitività tipicamente adolescenziale per cui abbiamo un adulto che è magari più permaloso, più aggressivo, più depresso proprio in funzione del fatto che non ha sviluppato quella parte razionale, la corteccia prefrontale o il collegamento con la corteccia prefrontale del cervello. Questo è qualcosa di cui i giovani devono essere informati ben prima che arrivino all'età adolescenziale in cui tutto è critica e se io dico, guarda che ti fa male, probabilmente viene preso come una proibizione più che come un messaggio di tutela. Esatto. "C'è la fascia diciamo che riguarda le quarantenni, le donne che in qualche modo trovano nell'alcool invece la possibilità di sentirsi maggiormente disinibite e forse anche arricchite da questi comportamenti maschili, che non so poi quanto siano virtuosi, ma sicuramente sono dei modelli importanti per avere una maggiore fiducia in se stesse. Questa fascia di persone, che tra l'altro sono anche in una fascia importante perché possono essere donne fertili, donne che comunque possono avere anche figli, secondo lei sono consapevoli del rischio che corrono bevendo alcol in gravidanza? Secondo quelle che sono le nostre evidenze no. Più del 50% delle donne italiane in gravidanza continua a bere. Non c'è quella informazione capillare che dovrebbe derivare ad esempio dai contesti in cui magari le donne si fanno visitare. Identificare precocemente il rischio alcol, collegato soprattutto a contesti e circostanze di vita che precludono il consumo di alcol dovrebbe essere un compito naturale da parte del medico ma il medico in Italia non è formato sull'alcol. Solo il 30% sa o integra nel colloquio le domande: quanto consuma? con che frequenza? Se gli capita di intossicarsi magari con 56 bevande alcoliche in un unico contesto solo il 30% dei medici è in grado di fare il colloquio motivazionale cioè quello che serve per far cambiare le persone che sono consumatrici a rischio ma che ancora non hanno ricevuto quella informazione che possa consentire loro di fare delle scelte informate. Far capire che l'alcool in gravidanza determina un problema, la sindrome feto alcolica, su tuo figlio non su quello di un'altra è qualcosa di importante perché la madre deve tenere a suo figlio. L'alcool che si consuma in gravidanza va a finire nel futuro del bambino per cui come diciamo nello slogan della campagna di sensibilizzazione" Una vita che nasce teme l'alcool" quindi in gravidanza non bere è un messaggio semplice ma di grande cultura e di grande sensibilità. Io volevo anche toccare con lei altri punti. L'alcool e la guida, lo sappiamo bene, è una cosa che vi sta particolarmente a cuore nelle campagne di sensibilizzazione ma ci sono anche l'alcool, la violenza e i maltrattamenti visto che stiamo trattando il tema al femminile. Basta vedere quello che succede oggi nei tribunali. Quando si parla di maltrattamento ai minori, di danni al coniuge o quant'altro di violenza molto spesso l'alcol è coinvolto. Molto spesso, sempre più spesso c'è anche il discorso della incapacità di riconoscere il rischio nella trasmissione delle malattie quelle legate ad esempio l'AIDS. L'alcool abbassa la percezione del rischio per cui, anche se una persona si trova in una situazione normale, non riesce a comprendere in uno stato di ebbrezza quello che effettivamente succede intorno a sé. Perdere la capacità di controllo fa vivere certe situazioni in termini di subire qualche cosa dagli altri ma anche essere parte attiva nel determinare azioni impossibili in condizioni di sobrietà. Soprattutto per la donna è un elemento di estrema tutela e anche di sicurezza personale mantenere la propria capacità di controllo e essere presente a se stessa soprattutto nei contesti in cui non c'è familiarità di azione e di interazione con le persone. Prima parlavamo di comportamenti che si sono letteralmente modificati, di abitudini cambiate, del cambiamento del profilo del bevitore e di modelli di relazione completamente nuovi. Quando si perde o si può perdere il controllo, il punto limite sul bere Professore? In realtà siamo tutti più esposti di quanto ci possiamo rendere conto?
Sicuramente molto di più perché non si è lavorato molto sul concetto di limite in Italia ed è qualcosa su cui si dovrebbe sin dalla famiglia incominciare a ragionare. Il limite è molto basso, l'asticella è molto bassa. Gli uomini non dovrebbero superare più di due bicchieri al giorno, se scelgono di bere le donne più di uno e i giovani al di sotto dei 18 anni mai, gli ultrasessantacinquenni mai più di uno. Superati questi livelli il rischio aumenta per 220 patologie e 14 tipi di cancro. L'alcol è la prima causa di morte tra i giovani in Italia. Allora ragionare in termini di semplicità, di frasi la moderazione non esiste se non si conosce il limite. Allora il limite è qualcosa sul quale bene o male bisogna far ragionare i ragazzi perché i ragazzi non hanno paura della malattia della morte o di qualcos'altro, hanno paura del limite oltre il quale scatta, ad esempio, la sanzione di esclusione dal gruppo. Quindi è su questo che bisogna lavorare perché molti lo fanno per aggregarsi, per essere inclusi nel gruppo ma vengono poi estromessi nel momento in cui sono causa di una serata di inferno perché una persona non è stata in grado di reggere l'alcool o di gestirlo. Paradossalmente c'è anche il discorso che va applicato alle persone più grandi perché sta diventando anche quella un'emergenza in quanto anche lì si sta perdendo molto più facilmente il senso del limite. Probabilmente perché bere è divertente, bere fa stare insieme perché ci sono tutte quelle cose piacevoli legati al bere che purtroppo abbiamo tentato disperatamente di raccomandare come delle cose non necessariamente uniche in relazione al bere. Perché bere troppo fa male e questa è una cosa che purtroppo spiacevole da sentire ma è la verità. Assolutamente vero, ne sono consapevole ed ecco perché cerco di trasmettere questa consapevolezza soprattutto agli adulti competenti, che hanno a che fare con le agenzie educative e con i giovani. I giovani sono importanti. Non possiamo lasciare costruire delle dimensioni fatte di uso di sostanze chimiche come l'alcool o come la cannabis o come le droghe o come le varie altre diciamo sostanze che hanno fatto di questa generazione, una generazione chimica.
Trasmissioni come questa su temi così importanti ed attuali fanno onore alla RAI per il servizio pubblico che rendono.
fonti varie
Marcello Spadola
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