Marcello Spadola: Guillermo Ochoa
Il dilemma più grande del calciomercato estivo del Napoli resterà quello legato al portiere.Tra il messicano Ochoa e le altre soluzioni, ancora, a poche ore dal termine della sessione estiva di mercato, la squadra partenopea non ha ancora chiuso la porta. Le incertezze che circolano sul valore del portiere greco, l’assenza forzata di Meret almeno per le prime giornate, stanno spingendo il Napoli a forzare per un portiere con Ochoa dello Standard Liegi sempre in cima alla lista.
Che il preferito da tutto l’ambiente azzurro sia il messicano Ochoa non c’è alcun dubbio. Aurelio De Laurentiis ha più volte mostrato il proprio gradimento verso l’estremo difensore della squadra belga ma il problema lo sta creando proprio lo Standard Liegi che non vuole sapere di lasciarlo andare in prestito. 3 milioni la richiesta per lasciarlo partire o, al massimo, la formula del prestito con l’obbligo del riscatto. Giuntoli proverà a chiudere. Dovrà farlo entro venerdì. Chi è Guillermo Ochoa? E' il più forte del mondo ogni quattro anni. I Mondiali sanno compiere meglio di qualsiasi altra competizione la magia della mitopoiesi. E quando finiscono ci spingono a chiederci dov’è che vada, Guillermo, quando il Messico si dissolve (normalmente agli ottavi) e lui scompare in un oblio simile a quello del Mitclan, il cammino del mondo sotterraneo che secondo la mitologia azteca i morti devono intraprendere per guadagnarsi la redenzione.Ci sono due registri possibili, per intessere una narrazione della vita di Memo Ochoa: uno ha a che fare con il destino, con la fatalità, con le occasioni perse o non sfruttate. L’altro con i suoi limiti, non necessariamente tecnici, non sempre e solo di personalità.
Perché Guillermo Ochoa rimane pur sempre il primo portiere messicano a essere sbarcato in Europa, ad aver partecipato a tre mondiali (di cui due da protagonista assoluto), ad aver raccolto – e forse in qualche maniera portato oltre – l’eredità di Jorge Campos.
Un eroe buffo, che gioca adeguandosi ai criteri del pragmatismo ma allo stesso tempo ama i calembour, che sceglie di indossare la maglia con il numero 8 perché in spagnolo richiama il suo nome, ma anche la 13 perché è nato di venerdì 13, e ha esordito un giorno, il 13 giugno del 2004, in una partita in cui il fischio d’inizio era fissato per le 13. I Vangeli sono pieni di dialoghi ad effetto: quello secondo Memo Ochoa racconta che Leo Beenhaker, all’epoca allenatore del Club América, gli si sia avvicinato il giorno prima di una partita casalinga contro il Monterrey. Lo aveva osservato da vicino nelle giovanili: ne era rimasto colpito, e l’aveva aggregato alla prima squadra. Il fato aveva voluto che poche settimane più tardi Adolfo Ríos, “el portero de Cristo”, il titolare, si infortunasse nell’allenamento di rifinitura prima del match contro il Monterrey. Leo si era allora avvicinato a Memo, e gli aveva chiesto quale fosse il suo più grande desiderio. «Giocare per l’América», aveva risposto sicuro Ochoa.
All’una del giorno successivo si era trovato, appena diciannovenne, al centro dell’immensità dello Stadio Azteca.La prima partita di Ochoa non è una rivelazione. Anzi, è piuttosto imbarazzante.
I primi tre tiri che arrivano dalle sue parti si trasformano in due reti subite, e una traversa. Non sembra padrone del reparto, né della sua emotività. Il tuffo plastico con cui raccoglie il primo pallone da portiere di uno dei club più gloriosi della storia del calcio messicano è un tentativo goffo di liberarsi dall’imbarazzo.
I Vangeli, però, sono pieni anche di storie edificanti sulla perseveranza. Il Vangelo secondo Memo Ochoa dice che si è trovato a vivere un apprendistato turbolento, a dover accelerare la presa di coscienza del suo ruolo nel mondo tra i pali di una delle squadre più criticate, e più al centro delle polemiche, del Paese. Era giovane, era bello, con il passare del tempo aveva sviluppato un certo carisma: aveva tutti i crismi per incarnare l’archetipo di portiere del futuro. A 33 anni, nella sua piena maturità atletica, potrebbe trovarsi di fronte all’ultima vera possibilità di fuoriuscire dalla gabbia dorata in cui vive prigioniero da quasi un decennio, e di ridefinire la sua legacy. Il futuro ci dirà se l’ipotesi di vederlo in Italia, al Napoli, sia davvero reale. Quel che è certo è che Guillermo Ochoa è stato a suo modo un apripista. Senza le sue performance ogni quattro anni forse i giovani portieri messicani – Raul Gaudino o Abraham Romero – non avrebbero mai avuto l’opportunità di giocarsi una chance in Europa.
Sarebbe davvero triste se Memo Ochoa perdesse anche quest’ultima occasione. Di lui ci resterebbe solo quell’impressione fugace anche se intensa, il ricordo di un portiere che ogni quattro anni compariva praticamente dal nulla con lo sguardo concentrato e malinconico, e che per quelle due o tre settimane sembrava uno dei portieri più forti al mondo.
fonti varie
Marcello Spadola
Guillermo Ochoa |
Che il preferito da tutto l’ambiente azzurro sia il messicano Ochoa non c’è alcun dubbio. Aurelio De Laurentiis ha più volte mostrato il proprio gradimento verso l’estremo difensore della squadra belga ma il problema lo sta creando proprio lo Standard Liegi che non vuole sapere di lasciarlo andare in prestito. 3 milioni la richiesta per lasciarlo partire o, al massimo, la formula del prestito con l’obbligo del riscatto. Giuntoli proverà a chiudere. Dovrà farlo entro venerdì. Chi è Guillermo Ochoa? E' il più forte del mondo ogni quattro anni. I Mondiali sanno compiere meglio di qualsiasi altra competizione la magia della mitopoiesi. E quando finiscono ci spingono a chiederci dov’è che vada, Guillermo, quando il Messico si dissolve (normalmente agli ottavi) e lui scompare in un oblio simile a quello del Mitclan, il cammino del mondo sotterraneo che secondo la mitologia azteca i morti devono intraprendere per guadagnarsi la redenzione.Ci sono due registri possibili, per intessere una narrazione della vita di Memo Ochoa: uno ha a che fare con il destino, con la fatalità, con le occasioni perse o non sfruttate. L’altro con i suoi limiti, non necessariamente tecnici, non sempre e solo di personalità.
Perché Guillermo Ochoa rimane pur sempre il primo portiere messicano a essere sbarcato in Europa, ad aver partecipato a tre mondiali (di cui due da protagonista assoluto), ad aver raccolto – e forse in qualche maniera portato oltre – l’eredità di Jorge Campos.
Un eroe buffo, che gioca adeguandosi ai criteri del pragmatismo ma allo stesso tempo ama i calembour, che sceglie di indossare la maglia con il numero 8 perché in spagnolo richiama il suo nome, ma anche la 13 perché è nato di venerdì 13, e ha esordito un giorno, il 13 giugno del 2004, in una partita in cui il fischio d’inizio era fissato per le 13. I Vangeli sono pieni di dialoghi ad effetto: quello secondo Memo Ochoa racconta che Leo Beenhaker, all’epoca allenatore del Club América, gli si sia avvicinato il giorno prima di una partita casalinga contro il Monterrey. Lo aveva osservato da vicino nelle giovanili: ne era rimasto colpito, e l’aveva aggregato alla prima squadra. Il fato aveva voluto che poche settimane più tardi Adolfo Ríos, “el portero de Cristo”, il titolare, si infortunasse nell’allenamento di rifinitura prima del match contro il Monterrey. Leo si era allora avvicinato a Memo, e gli aveva chiesto quale fosse il suo più grande desiderio. «Giocare per l’América», aveva risposto sicuro Ochoa.
All’una del giorno successivo si era trovato, appena diciannovenne, al centro dell’immensità dello Stadio Azteca.La prima partita di Ochoa non è una rivelazione. Anzi, è piuttosto imbarazzante.
I primi tre tiri che arrivano dalle sue parti si trasformano in due reti subite, e una traversa. Non sembra padrone del reparto, né della sua emotività. Il tuffo plastico con cui raccoglie il primo pallone da portiere di uno dei club più gloriosi della storia del calcio messicano è un tentativo goffo di liberarsi dall’imbarazzo.
I Vangeli, però, sono pieni anche di storie edificanti sulla perseveranza. Il Vangelo secondo Memo Ochoa dice che si è trovato a vivere un apprendistato turbolento, a dover accelerare la presa di coscienza del suo ruolo nel mondo tra i pali di una delle squadre più criticate, e più al centro delle polemiche, del Paese. Era giovane, era bello, con il passare del tempo aveva sviluppato un certo carisma: aveva tutti i crismi per incarnare l’archetipo di portiere del futuro. A 33 anni, nella sua piena maturità atletica, potrebbe trovarsi di fronte all’ultima vera possibilità di fuoriuscire dalla gabbia dorata in cui vive prigioniero da quasi un decennio, e di ridefinire la sua legacy. Il futuro ci dirà se l’ipotesi di vederlo in Italia, al Napoli, sia davvero reale. Quel che è certo è che Guillermo Ochoa è stato a suo modo un apripista. Senza le sue performance ogni quattro anni forse i giovani portieri messicani – Raul Gaudino o Abraham Romero – non avrebbero mai avuto l’opportunità di giocarsi una chance in Europa.
Sarebbe davvero triste se Memo Ochoa perdesse anche quest’ultima occasione. Di lui ci resterebbe solo quell’impressione fugace anche se intensa, il ricordo di un portiere che ogni quattro anni compariva praticamente dal nulla con lo sguardo concentrato e malinconico, e che per quelle due o tre settimane sembrava uno dei portieri più forti al mondo.
fonti varie
Marcello Spadola
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