Il Football da bordo campo: Marek Hamsik e il record di Diego Maradona
Tanti si sono battuti la mano sul petto o hanno baciato la maglia dopo un gol: lo ha fatto perfino Higuain, campione di ipocrisia. Il gesto di Hamsik, dopo la rete al Torino che gli ha consentito di raggiungere Maradona al vertice della novantennale classifica cannonieri del Napoli, è stato diverso perché sentito. C'era una reale spinta emotiva, un assoluto bisogno di condividere il momento con i compagni e i tifosi, così come era accaduto tre anni fa, in occasione della conquista della Coppa Italia e della Supercoppa, sollevate al cielo dopo le finali contro la Fiorentina e la Juve negli stadi di Roma e Dubai.
Dopo tanta attesa, col gol numero 115 in maglia azzurra, aggancia Diego Armando Maradona in cima alla classifica dei marcatori all-time del Napoli dove arrivò in modo veramente curioso: "Ero rimasto folgorato da un giovane straniero che giocò una mezz’ora e poco più. Un regista in erba. Pensai: questo diventa un grande" racconta Pierpaolo Marino allora Direttore Sportivo del Napoli. Anche la trattativa possiede i dettagli caserecci dell’illuminazione vera e propria: "A una delle prime riunioni di Lega alla quale partecipò De Laurentiis, gli presentai, continua Marino, Luigi Corioni, il presidente del Brescia. De Laurentiis disse a Corioni: "Mi devi dare un tuo giocatore perché devo fare un regalo a questo ragazzo”, indicandomi. “Per sei milioni me lo dai?” Corioni disse sì. I due presidenti si strinsero la mano e la trattativa restò virtualmente legata a quel gesto".
Alla fine la trattativa rischiò persino di saltare, perché De Laurentiis voleva pagare, per una questione di principio che possiamo immaginare, solo 5 milioni e mezzo e non 6, tanto che Marino si propose di mettere il mezzo milione restante di tasca propria, con la promessa che li avrebbe ripresi alla futura cessione.Cosi Marek Hamsik slovacco di Banska Bystrica, arriva a Napoli, ad appena 20 anni, ma con già 74 presenze e 12 gol tra i professionisti: le tappe che fanno di un giocatore un grande giocatore erano già state quasi tutte bruciate. Ma in Italia ce lo porta Maurizio Micheli, scout del Brescia che non può permettersi giocatori già di prima fascia e va alla ricerca di pepite d’oro nel campionato under-17 del 2003. Marek Hamsik ha 16 anni e gioca nelle giovanili dello Slovan Bratislava. "Un giocatorino bravissimo nel dialogo a centrocampo e soprattutto nell’attaccare la profondità, nella capacità di inserimento".
Quel torneo rappresentava il punto d’arrivo di un percorso prodigioso, nel quale Marek Hamsik aveva ricoperto con disinvoltura il ruolo di talento fuori dal normale. Si raccontano di annate nelle giovanili dello Jupie Podlavice con più di 100 gol in 30 presenze, di partite in cui era riuscito a segnare 16 gol, di un provino con lo Sparta Praga andato bene ma non risoltosi in un trasferimento perché il club non aveva trovato un lavoro ai genitori. Pare che per definire il suo passaggio allo Slovan Bratislava in crisi economica il padre, un ex calciatore, abbia dovuto vendere la sua Skoda e mettere di tasca sua i 5.000 euro mancanti.
Micheli invita Hamsik con tutta la famiglia a vedere le strutture di allenamento del Brescia e lo convince a firmare, lì incontra Roberto Baggio: "Rimasi folgorato, questo influenzò la mia scelta". Arriverà per 60 mila euro e se ne andrà al Napoli quattro anni dopo per 5 milioni e mezzo. Oggi Hamsik è una statua e se sembra essere in Serie A da sempre, al punto che abbiamo quasi perso contatto con la sua grandezza calcistica, è anche perché non è mai stato davvero giovane.
Volontà prima della capacità, ma non in ordine d’importanza. Perché Hamsik non è il tipo di giocatore che cerca di arrivare al risultato con le scorciatoie e sa che la via più difficile è molte volte la più breve. Già solo il fatto di essersi ritrovato così tante volte in carriera nel posto giusto al momento giusto in area, anticipando sul tempo i difensori avversari in quella che dovrebbe essere la loro comfort zone, ci dovrebbe illuminare sulla sua capacità di occupare lo spazio e di prevedere l’andamento del gioco, anche quando, com’è nel caso delle palle vaganti, è invece apparentemente imprevedibile.
È proprio la comprensione del gioco a rendere Hamsik un calciatore straordinario, l’intelligenza unita ad un bagaglio tecnico sconfinato a trasformarlo in un’incognita irrisolvibile per gli avversari. Ed è forse anche per questo, cioè per il fatto che l’intelligenza non è una qualità immediatamente visibile, che solo oggi il pubblico si accorge della grandezza di un centrocampista che comunque ha mantenuto una media assurda di circa 10 gol e 10 assist a stagione per un decennio.
Hamsik ha una lucidità costante nel saper cosa fare e quando farlo, soprattutto calcolando l’intensità fisica del suo gioco. Poco prima di ricevere la palla lo si vede spesso guardarsi intorno per calcolare la posizione dei compagni e degli avversari, una consapevolezza estrema della propria posizione in relazione agli altri 21 giocatori in campo e alla palla, che viene ricalcolata in continuazione al fine di prendere sempre la decisione ottimale. In questo senso, Hamsik ha una resistenza mentale prima che fisica fuori dal comune, che gli permette di optare per delle scelte che non sono quasi mai banali.
Ormai napoletano a tutti gli effetti: ne ha visti passare tanti di campioni, che poi hanno preferito altre sfide, nei suoi dieci anni e mezzo di azzurro. Un periodo in cui si sono succeduti cinque allenatori, da Reja a Sarri, passando per Donadoni, Mazzarri e Benitez. Ognuno ha contribuito alla sua crescita, facendogli conoscere posizioni e sfumature diverse, che l’hanno reso il giocatore che è oggi. La dimensione attuale è ben lontana dalla prima. Il Marek Hamsik contemporaneo è una mezzala sinistra, anche se destro naturale. Va meno al tiro e le sue reti arrivano principalmente su inserimenti, originati da un fraseggio o da un’azione accompagnata nel modo giusto. In compenso, Sarri ne ha (ri)scoperto doti di equilibratore, in un centrocampo dove Allan mette i muscoli e Jorginho la regia; lo slovacco è un mix di entrambe le caratteristiche. L’allenatore non vi rinuncia praticamente mai, anche per il ruolo di capitano che ricopre, vista l’anzianità maturata. Dalla B alla lotta per lo scudetto, dall’Intertoto alla Champions League, la costante dell’ultimo decennio è sempre stata rappresentata da lui.
Sono passati più di dieci anni dal suo primo centro, in Coppa Italia contro il Cesena il 15 agosto 2007, con la squadra allora neopromossa in Serie A, e dal suo primo gol nel massimo campionato arrivato il 16 settembre dello stesso anno contro la Sampdoria.«L'unica cosa simile che condivido con Diego Armando Maradona è il numero di gol» dichiara il giorno dopo aver uguagliato quel record Marek Hamsik che ha raggiunto l'ex Pibe de Oro in vetta alla classifica dei marcatori azzurri di ogni epoca. Lo slovacco ci tiene a mantenere i piedi fissi a terra. «Ho sempre saputo che sarebbe arrivato, è una bella sensazione e per un centrocampista 115 gol sono un numero davvero importante». Il capitano della squadra di Sarri ha finalmente affiancato Diego all'undicesima stagione vissuta all'ombra del Vesuvio, tante quante Attila Sallustro che con i suoi 108 gol è ancora sul gradino più basso del podio dei bomber di tutti i tempi del Napoli. Al quarto posto il Matador Cavani (104 reti in 3 stagioni), poi a chiudere il club dei centenari Antonio Vojak con 103 (6 stagioni). A seguire José Altafini (97-7 stagioni), Careca (96-6 stagioni), Higuain (91-3 stagioni), Mertens (81-5 stagioni) e Giuseppe Savoldi (77-4 stagioni). Alla città, ai tifosi, e alla squadra Marek Hamsik ha indirizzato una splendida lettera dal titolo "Per Napoli" pubblicata su The Player's Tribune che inizia così "A Napoli non abbiamo un solo allenatore. Ne abbiamo tre milioni. Ogni uomo, donna e bambino sa cos'è meglio per il Napoli. Ogni bimbo di quattro anni sa cos'è meglio per il Napoli Ogni bimbo di quattro anni sa come potremmo segnare più gol. Ogni donna novantenne che si occupa del suo orticello ti sa dire come e perchè dobbiamo cambiare la formazione in campo. Quel sentimento, quella passione è nel loro sangue. A Napoli, il calcio è come una religione e lo Stadio San Paolo è la sua chiesa. Il Napoli è l'unica società calcistica della zona e i napoletani se ne sentono parte, perchè lo sono. Il calcio è ciò che pensano quando si svegliano, quello di cui parlano tutto il giorno, è quello che sognano di notte. Spesso si ha l'impressione che il calcio sia l'unica cosa che conta. Io ci sono abituato. Il calcio è la mia vita da ventinove anni. Perciò quelle sensazioni che scorrono nelle vene dei napoletani, beh, scorrono anche nel mio sangue. Marek Hamsik e potrei concludere, è un leader atipico, che preferisce essere al centro della squadra, piuttosto che al vertice con l'atteggiamento è da vero capitano quello per cui non importano ruolo, reti, onori.
fonti varie
Marcello Spadola
Marekiaro tra i trofei |
Dopo tanta attesa, col gol numero 115 in maglia azzurra, aggancia Diego Armando Maradona in cima alla classifica dei marcatori all-time del Napoli dove arrivò in modo veramente curioso: "Ero rimasto folgorato da un giovane straniero che giocò una mezz’ora e poco più. Un regista in erba. Pensai: questo diventa un grande" racconta Pierpaolo Marino allora Direttore Sportivo del Napoli. Anche la trattativa possiede i dettagli caserecci dell’illuminazione vera e propria: "A una delle prime riunioni di Lega alla quale partecipò De Laurentiis, gli presentai, continua Marino, Luigi Corioni, il presidente del Brescia. De Laurentiis disse a Corioni: "Mi devi dare un tuo giocatore perché devo fare un regalo a questo ragazzo”, indicandomi. “Per sei milioni me lo dai?” Corioni disse sì. I due presidenti si strinsero la mano e la trattativa restò virtualmente legata a quel gesto".
Il Capitano felice e sorridente |
Marekiaro Hamsik il Capitano |
Alla fine la trattativa rischiò persino di saltare, perché De Laurentiis voleva pagare, per una questione di principio che possiamo immaginare, solo 5 milioni e mezzo e non 6, tanto che Marino si propose di mettere il mezzo milione restante di tasca propria, con la promessa che li avrebbe ripresi alla futura cessione.Cosi Marek Hamsik slovacco di Banska Bystrica, arriva a Napoli, ad appena 20 anni, ma con già 74 presenze e 12 gol tra i professionisti: le tappe che fanno di un giocatore un grande giocatore erano già state quasi tutte bruciate. Ma in Italia ce lo porta Maurizio Micheli, scout del Brescia che non può permettersi giocatori già di prima fascia e va alla ricerca di pepite d’oro nel campionato under-17 del 2003. Marek Hamsik ha 16 anni e gioca nelle giovanili dello Slovan Bratislava. "Un giocatorino bravissimo nel dialogo a centrocampo e soprattutto nell’attaccare la profondità, nella capacità di inserimento".
Quel torneo rappresentava il punto d’arrivo di un percorso prodigioso, nel quale Marek Hamsik aveva ricoperto con disinvoltura il ruolo di talento fuori dal normale. Si raccontano di annate nelle giovanili dello Jupie Podlavice con più di 100 gol in 30 presenze, di partite in cui era riuscito a segnare 16 gol, di un provino con lo Sparta Praga andato bene ma non risoltosi in un trasferimento perché il club non aveva trovato un lavoro ai genitori. Pare che per definire il suo passaggio allo Slovan Bratislava in crisi economica il padre, un ex calciatore, abbia dovuto vendere la sua Skoda e mettere di tasca sua i 5.000 euro mancanti.
Micheli invita Hamsik con tutta la famiglia a vedere le strutture di allenamento del Brescia e lo convince a firmare, lì incontra Roberto Baggio: "Rimasi folgorato, questo influenzò la mia scelta". Arriverà per 60 mila euro e se ne andrà al Napoli quattro anni dopo per 5 milioni e mezzo. Oggi Hamsik è una statua e se sembra essere in Serie A da sempre, al punto che abbiamo quasi perso contatto con la sua grandezza calcistica, è anche perché non è mai stato davvero giovane.
Volontà prima della capacità, ma non in ordine d’importanza. Perché Hamsik non è il tipo di giocatore che cerca di arrivare al risultato con le scorciatoie e sa che la via più difficile è molte volte la più breve. Già solo il fatto di essersi ritrovato così tante volte in carriera nel posto giusto al momento giusto in area, anticipando sul tempo i difensori avversari in quella che dovrebbe essere la loro comfort zone, ci dovrebbe illuminare sulla sua capacità di occupare lo spazio e di prevedere l’andamento del gioco, anche quando, com’è nel caso delle palle vaganti, è invece apparentemente imprevedibile.
È proprio la comprensione del gioco a rendere Hamsik un calciatore straordinario, l’intelligenza unita ad un bagaglio tecnico sconfinato a trasformarlo in un’incognita irrisolvibile per gli avversari. Ed è forse anche per questo, cioè per il fatto che l’intelligenza non è una qualità immediatamente visibile, che solo oggi il pubblico si accorge della grandezza di un centrocampista che comunque ha mantenuto una media assurda di circa 10 gol e 10 assist a stagione per un decennio.
Hamsik ha una lucidità costante nel saper cosa fare e quando farlo, soprattutto calcolando l’intensità fisica del suo gioco. Poco prima di ricevere la palla lo si vede spesso guardarsi intorno per calcolare la posizione dei compagni e degli avversari, una consapevolezza estrema della propria posizione in relazione agli altri 21 giocatori in campo e alla palla, che viene ricalcolata in continuazione al fine di prendere sempre la decisione ottimale. In questo senso, Hamsik ha una resistenza mentale prima che fisica fuori dal comune, che gli permette di optare per delle scelte che non sono quasi mai banali.
Ormai napoletano a tutti gli effetti: ne ha visti passare tanti di campioni, che poi hanno preferito altre sfide, nei suoi dieci anni e mezzo di azzurro. Un periodo in cui si sono succeduti cinque allenatori, da Reja a Sarri, passando per Donadoni, Mazzarri e Benitez. Ognuno ha contribuito alla sua crescita, facendogli conoscere posizioni e sfumature diverse, che l’hanno reso il giocatore che è oggi. La dimensione attuale è ben lontana dalla prima. Il Marek Hamsik contemporaneo è una mezzala sinistra, anche se destro naturale. Va meno al tiro e le sue reti arrivano principalmente su inserimenti, originati da un fraseggio o da un’azione accompagnata nel modo giusto. In compenso, Sarri ne ha (ri)scoperto doti di equilibratore, in un centrocampo dove Allan mette i muscoli e Jorginho la regia; lo slovacco è un mix di entrambe le caratteristiche. L’allenatore non vi rinuncia praticamente mai, anche per il ruolo di capitano che ricopre, vista l’anzianità maturata. Dalla B alla lotta per lo scudetto, dall’Intertoto alla Champions League, la costante dell’ultimo decennio è sempre stata rappresentata da lui.
Sono passati più di dieci anni dal suo primo centro, in Coppa Italia contro il Cesena il 15 agosto 2007, con la squadra allora neopromossa in Serie A, e dal suo primo gol nel massimo campionato arrivato il 16 settembre dello stesso anno contro la Sampdoria.«L'unica cosa simile che condivido con Diego Armando Maradona è il numero di gol» dichiara il giorno dopo aver uguagliato quel record Marek Hamsik che ha raggiunto l'ex Pibe de Oro in vetta alla classifica dei marcatori azzurri di ogni epoca. Lo slovacco ci tiene a mantenere i piedi fissi a terra. «Ho sempre saputo che sarebbe arrivato, è una bella sensazione e per un centrocampista 115 gol sono un numero davvero importante». Il capitano della squadra di Sarri ha finalmente affiancato Diego all'undicesima stagione vissuta all'ombra del Vesuvio, tante quante Attila Sallustro che con i suoi 108 gol è ancora sul gradino più basso del podio dei bomber di tutti i tempi del Napoli. Al quarto posto il Matador Cavani (104 reti in 3 stagioni), poi a chiudere il club dei centenari Antonio Vojak con 103 (6 stagioni). A seguire José Altafini (97-7 stagioni), Careca (96-6 stagioni), Higuain (91-3 stagioni), Mertens (81-5 stagioni) e Giuseppe Savoldi (77-4 stagioni). Alla città, ai tifosi, e alla squadra Marek Hamsik ha indirizzato una splendida lettera dal titolo "Per Napoli" pubblicata su The Player's Tribune che inizia così "A Napoli non abbiamo un solo allenatore. Ne abbiamo tre milioni. Ogni uomo, donna e bambino sa cos'è meglio per il Napoli. Ogni bimbo di quattro anni sa cos'è meglio per il Napoli Ogni bimbo di quattro anni sa come potremmo segnare più gol. Ogni donna novantenne che si occupa del suo orticello ti sa dire come e perchè dobbiamo cambiare la formazione in campo. Quel sentimento, quella passione è nel loro sangue. A Napoli, il calcio è come una religione e lo Stadio San Paolo è la sua chiesa. Il Napoli è l'unica società calcistica della zona e i napoletani se ne sentono parte, perchè lo sono. Il calcio è ciò che pensano quando si svegliano, quello di cui parlano tutto il giorno, è quello che sognano di notte. Spesso si ha l'impressione che il calcio sia l'unica cosa che conta. Io ci sono abituato. Il calcio è la mia vita da ventinove anni. Perciò quelle sensazioni che scorrono nelle vene dei napoletani, beh, scorrono anche nel mio sangue. Marek Hamsik e potrei concludere, è un leader atipico, che preferisce essere al centro della squadra, piuttosto che al vertice con l'atteggiamento è da vero capitano quello per cui non importano ruolo, reti, onori.
fonti varie
Marcello Spadola
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