Marcello Spadola: Natale attraverso storie e racconti.
Quest’anno il mio Presepe è ancora vuoto. C’è il paesaggio, il fiume, il cielo e la grotta con la natività, e nient’altro. Non è esattamente vuoto, più che altro è spopolato. Non ci sono i pastori, gli zampognari, le pecorelle, gli angeli. Solo un paesaggio e un bambino con la sua famiglia. Un vuoto da riempire: troppo silenzio, troppa solitudine. E non ho più i pastori, li avrò smarriti ? chissà … ; e, allora, quest’anno decido io chi mettere nel mio presepe, davanti a quella grotta, in cammino verso quel neonato. Mi piacerebbe che tutti i miei personaggi, in un modo o nell’altro, somigliassero a quel bambino, che avessero il suo volto; ma non è facile scegliere: Dio ha più di sei miliardi di volti sulla nostra Terra. E quel bambino mi fissa l’appuntamento dinanzi a quei volti. L’itinerario per arrivare a lui passa attraverso tutte le strade del mondo e soltanto “perdendo tempo” con quei volti ho la certezza di giungere puntuale dinanzi a lui. È sempre così.
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LA STORIA DEL TRONCHETTO
Ogni sera, quando il padre di Melina rientrava dal bosco, scuoteva la neve dagli stivali e brontolava: «Oh, là là! Che caldo fa, qui! Sembra un forno! Guarda, Melina, i vetri delle finestre sono tutti appannati! E poi, sempre questo odore di dolci e creme bruciacchiate! Toh, guarda tua madre, coperta di farina dalla testa ai piedi! Che idea che ho avuto di sposare una fornaia!».
Naturalmente la mamma di Melina non era contenta. I suoi occhi brillavano di collera.
Gridava: «Che cosa? Dolci bruciacchiati? lo? I miei panettoni farciti sono i migliori dei mondo! E poi io faccio delle cose con le mie mani. Tu, grand'uomo, non fai che demolire dei poveri alberi che non t'hanno fatto niente. Guardalo, Melina, tutto coperto di segatura dalla testa ai piedi!».
Mellina ne aveva abbastanza di questi litigi. Si arrotolava le trecce bionde forte forte intorno alle orecchie e non sentiva più niente.
Ma il papà continuava a gridare: «Questa sedia è tutta appiccicosa. È ancora la tua crema!».
E la mamma urlava: «Crema? ma quale crema: è la resina dei tuoi maledetti alberi. La spiaccichi dappertutto!».
Quella sera, Melina piangeva nel suo lettino. Amava tanto il papà e la mamma. Ma ora esageravano. Due giorni dopo era Natale e loro non facevano nessuno sforzo per andare d'accordo e passare una bella festa insieme. Il papà si era rifiutato di ridipingere l'insegna della pasticceria. La mamma non aveva voluto rammendare il gilet dei marito.
I grossi lacrimoni di Melina bagnavano la sua bambola preferita.
Il giorno dopo Melina raccontò tutto al cugino Gianni.
«Non serve a niente piangere» le disse Gianni. «Devi fare qualcosa. I tuoi genitori ti vogliono bene. Prepara tu la festa. Fabbrica un regalino, addobba la casa e Natale sarà una festa fantastica!».
Melina tornò a casa di corsa. Aprì le finestre, spazzò fuori farina e segatura. Pulì e lucidò. Decorò la casa con rametti di agrifoglio e carta crespa, aggiustò il gilet del papà e stirò il nastro che la mamma si annodava nei capelli. Poi si disse: «E adesso preparo una bella sorpresa! Almeno a Natale non litigheranno». E mentre mamma e papà erano al lavoro, Melina preparò la sua sorpresa, ridendo da sola.
Quando il padre rientrò, non riuscì a trattenere un fischio di sorpresa: «Oh, là, là! Che bella casa! E il mio gilet riparato per Natale». La madre a sua volta: «La casa addobbata e il mio nastro lavato e stirato. Che meraviglia!».
Il giorno di Natale, andarono a Messa tutti insieme e poi tornarono per il pranzo. Al momento dei dolce, Melina portò la sua sorpresa. Mamma e papà aggrottarono le sopracciglia
La mamma domandò: «Che cos'è? Sembra un tronco d'albero, con la corteccia scura e un po' di neve. È disgustoso!».
Il papà annusò e disse: «Sa di biscotti, cioccolato e zucchero in polvere. È disgustoso!»
Poi, tutto d'un colpo, la mamma scoppiò a ridere e disse: «È un dolce, è per me. Grazie Melina!»
Il papà scoppiò a ridere anche lui: «È un tronchetto d'albero, è per me. Grazie Melina!»
Melina, felice, gridò: «È per tutti e tre. E lasciatene un po' anche per me!».
I REGALI NELLO SGABUZZINO
Il postino suonò due volte. Mancavano cinque giorni a Natale. Aveva fra le braccia un grosso pacco avvolto in carta preziosamente disegnata e legato con nastri dorati.
«Avanti», disse una voce dall'interno.
Il postino entrò. Era una casa malandata: si trovò in una stanza piena d'ombre e di polvere. Seduto in una poltrona c'era un vecchio.
«Guardi che stupendo pacco di Natale!» disse allegramente il postino.
«Grazie. Lo metta pure per terra», disse il vecchio con la voce più triste che mai.
«Non c'è amore dentro»
Il postino rimase imbambolato con il grosso pacco in mano. Sentiva benissimo che il pacco era pieno di cose buone e quel vecchio non aveva certo l'aria di spassarsela male. Allora, perché era così triste?
«Ma, signore, non dovrebbe fare un po' di festa a questo magnifico regalo?».
«Non posso... Non posso proprio», disse il vecchio con le lacrime agli occhi. E raccontò al postino la storia della figlia che si era sposata nella città vicina ed era diventata ricca. Tutti gli anni gli mandava un pacco, per Natale, con un bigliettino: «Da tua figlia Luisa e marito». Mai un augurio personale, una visita, un invito: «Vieni a passare il Natale con noi».
«Venga a vedere», aggiunse il vecchio e si alzò stancamente. Il postino lo seguì fino ad uno sgabuzzino. Il vecchio aprì la porta.
«Ma ... » fece il postino. Lo sgabuzzino traboccava di regali natalizi. Erano tutti quelli dei Natali precedenti. Intatti, con la loro preziosa carta e i nastri luccicanti.
«Ma non li ha neanche aperti!» esclamò il postino allibito.
«No», disse mestamente il vecchio. «Non c'è amore dentro».
I TRE AGNELLINI
Lassù sulle montagne del Tirolo, c'era un piccolo villaggio dove tutti sapevano scolpire santi e Madonne con grande abilità. Ma giunse il tempo in cui non ci furono più ordinazioni per le loro belle statuine religiose.
Un pomeriggio Dritte, uno dei maestri intagliatori, entrando nella sua bottega trovò un fanciullo biondo, che giocava con le statuine del presepio. Dritte gli disse con fare burbero che le statuine del presepio non erano giocattoli. Il bambino rispose: «A Gesù non importa, Lui sa che non ho giocattoli per giocare». Maestro Dritte commosso gli promise un agnellino di legno con la testa che si muoveva.
«Vienilo a prendere domani pomeriggio, però, strano che non ti abbia mai visto, dove abiti?»
«Là», rispose il fanciullo indicando vagamente l'alto.
Il giorno dopo, prima di mezzogiorno, l'agnellino era pronto, bello da sembrare vivo. Ad un tratto si affacciò alla porta della bottega di Dritte una giovane zingara con un bambino in braccio.
Il bambino appena vide l'agnellino protese le braccine e l'afferrò. Quando glielo vollero togliere di mano si mise a piangere disperato. Dritte che non aveva nulla da dare alla povera donna disse sospirando: «Tienilo pure. Intaglierò un altro agnellino».
Nel pomeriggio tardi Dritte aveva appena terminato il secondo agnellino quando Pino, un povero orfanello, venne a salutarlo. «Oh! che meraviglioso agnello», disse. «Posso averlo per piacere?». «Sì tienilo pure, Pino, io ne intaglierò un altro».
E così fece. Ma il bambino dai capelli d'oro non ritornò, e l'agnellino rimase abbandonato sullo scaffale della bottega.
La situazione del villaggio continuava a peggiorare e Dritte cominciò ad intagliare giocattoli per i bambini del villaggio per far loro dimenticare la fame. Un giorno un mercante di passaggio si offrì di comperare tutti i giocattoli che Dritte riusciva ad intagliare. Dritte rifiutò di intagliare giocattoli per denaro: «Sono alla locanda», disse il commerciante, «in caso cambiate idea».
La piccola Marta era molto malata e Dritte, per farla sorridere, le regalò l'agnellino che aveva conservato sullo scaffale della sua bottega. Mentre tornava dalla casa di Marta, incontrò il bambino dai capelli d'oro.
«Ho tenuto l'agnellino fino ad oggi, ma tu non sei venuto. Ne farò subito un altro».
«Non ho bisogno di un altro agnellino» disse il fanciullo scuotendo il capo, «quelli che hai donato al piccolo zingaro, a Pino e a Marta li hai donati anche a me. Fare un giocattolo può servire alla gloria di Dio quanto intagliare un santo».
Un attimo dopo il fanciullo era scomparso.
Quella notte Dritte si recò alla locanda.
«Costruirò giocattoli per voi», disse.
«Allora avete cambiato idea» sussurrò il mercante.
«No», rispose Dritte con gli occhi scintillanti, «ma ho ricevuto un segno da Dio!»
fonti varie
Marcello Spadola
Il Presepe |
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LA STORIA DEL TRONCHETTO
Ogni sera, quando il padre di Melina rientrava dal bosco, scuoteva la neve dagli stivali e brontolava: «Oh, là là! Che caldo fa, qui! Sembra un forno! Guarda, Melina, i vetri delle finestre sono tutti appannati! E poi, sempre questo odore di dolci e creme bruciacchiate! Toh, guarda tua madre, coperta di farina dalla testa ai piedi! Che idea che ho avuto di sposare una fornaia!».
Naturalmente la mamma di Melina non era contenta. I suoi occhi brillavano di collera.
Gridava: «Che cosa? Dolci bruciacchiati? lo? I miei panettoni farciti sono i migliori dei mondo! E poi io faccio delle cose con le mie mani. Tu, grand'uomo, non fai che demolire dei poveri alberi che non t'hanno fatto niente. Guardalo, Melina, tutto coperto di segatura dalla testa ai piedi!».
Mellina ne aveva abbastanza di questi litigi. Si arrotolava le trecce bionde forte forte intorno alle orecchie e non sentiva più niente.
Ma il papà continuava a gridare: «Questa sedia è tutta appiccicosa. È ancora la tua crema!».
E la mamma urlava: «Crema? ma quale crema: è la resina dei tuoi maledetti alberi. La spiaccichi dappertutto!».
Quella sera, Melina piangeva nel suo lettino. Amava tanto il papà e la mamma. Ma ora esageravano. Due giorni dopo era Natale e loro non facevano nessuno sforzo per andare d'accordo e passare una bella festa insieme. Il papà si era rifiutato di ridipingere l'insegna della pasticceria. La mamma non aveva voluto rammendare il gilet dei marito.
I grossi lacrimoni di Melina bagnavano la sua bambola preferita.
Il giorno dopo Melina raccontò tutto al cugino Gianni.
«Non serve a niente piangere» le disse Gianni. «Devi fare qualcosa. I tuoi genitori ti vogliono bene. Prepara tu la festa. Fabbrica un regalino, addobba la casa e Natale sarà una festa fantastica!».
Melina tornò a casa di corsa. Aprì le finestre, spazzò fuori farina e segatura. Pulì e lucidò. Decorò la casa con rametti di agrifoglio e carta crespa, aggiustò il gilet del papà e stirò il nastro che la mamma si annodava nei capelli. Poi si disse: «E adesso preparo una bella sorpresa! Almeno a Natale non litigheranno». E mentre mamma e papà erano al lavoro, Melina preparò la sua sorpresa, ridendo da sola.
Quando il padre rientrò, non riuscì a trattenere un fischio di sorpresa: «Oh, là, là! Che bella casa! E il mio gilet riparato per Natale». La madre a sua volta: «La casa addobbata e il mio nastro lavato e stirato. Che meraviglia!».
Il giorno di Natale, andarono a Messa tutti insieme e poi tornarono per il pranzo. Al momento dei dolce, Melina portò la sua sorpresa. Mamma e papà aggrottarono le sopracciglia
La mamma domandò: «Che cos'è? Sembra un tronco d'albero, con la corteccia scura e un po' di neve. È disgustoso!».
Il papà annusò e disse: «Sa di biscotti, cioccolato e zucchero in polvere. È disgustoso!»
Poi, tutto d'un colpo, la mamma scoppiò a ridere e disse: «È un dolce, è per me. Grazie Melina!»
Il papà scoppiò a ridere anche lui: «È un tronchetto d'albero, è per me. Grazie Melina!»
Melina, felice, gridò: «È per tutti e tre. E lasciatene un po' anche per me!».
L'Albero di Natale |
Il postino suonò due volte. Mancavano cinque giorni a Natale. Aveva fra le braccia un grosso pacco avvolto in carta preziosamente disegnata e legato con nastri dorati.
«Avanti», disse una voce dall'interno.
Il postino entrò. Era una casa malandata: si trovò in una stanza piena d'ombre e di polvere. Seduto in una poltrona c'era un vecchio.
«Guardi che stupendo pacco di Natale!» disse allegramente il postino.
«Grazie. Lo metta pure per terra», disse il vecchio con la voce più triste che mai.
«Non c'è amore dentro»
Il postino rimase imbambolato con il grosso pacco in mano. Sentiva benissimo che il pacco era pieno di cose buone e quel vecchio non aveva certo l'aria di spassarsela male. Allora, perché era così triste?
«Ma, signore, non dovrebbe fare un po' di festa a questo magnifico regalo?».
«Non posso... Non posso proprio», disse il vecchio con le lacrime agli occhi. E raccontò al postino la storia della figlia che si era sposata nella città vicina ed era diventata ricca. Tutti gli anni gli mandava un pacco, per Natale, con un bigliettino: «Da tua figlia Luisa e marito». Mai un augurio personale, una visita, un invito: «Vieni a passare il Natale con noi».
«Venga a vedere», aggiunse il vecchio e si alzò stancamente. Il postino lo seguì fino ad uno sgabuzzino. Il vecchio aprì la porta.
«Ma ... » fece il postino. Lo sgabuzzino traboccava di regali natalizi. Erano tutti quelli dei Natali precedenti. Intatti, con la loro preziosa carta e i nastri luccicanti.
«Ma non li ha neanche aperti!» esclamò il postino allibito.
«No», disse mestamente il vecchio. «Non c'è amore dentro».
I TRE AGNELLINI
Lassù sulle montagne del Tirolo, c'era un piccolo villaggio dove tutti sapevano scolpire santi e Madonne con grande abilità. Ma giunse il tempo in cui non ci furono più ordinazioni per le loro belle statuine religiose.
Un pomeriggio Dritte, uno dei maestri intagliatori, entrando nella sua bottega trovò un fanciullo biondo, che giocava con le statuine del presepio. Dritte gli disse con fare burbero che le statuine del presepio non erano giocattoli. Il bambino rispose: «A Gesù non importa, Lui sa che non ho giocattoli per giocare». Maestro Dritte commosso gli promise un agnellino di legno con la testa che si muoveva.
«Vienilo a prendere domani pomeriggio, però, strano che non ti abbia mai visto, dove abiti?»
«Là», rispose il fanciullo indicando vagamente l'alto.
Il giorno dopo, prima di mezzogiorno, l'agnellino era pronto, bello da sembrare vivo. Ad un tratto si affacciò alla porta della bottega di Dritte una giovane zingara con un bambino in braccio.
Il bambino appena vide l'agnellino protese le braccine e l'afferrò. Quando glielo vollero togliere di mano si mise a piangere disperato. Dritte che non aveva nulla da dare alla povera donna disse sospirando: «Tienilo pure. Intaglierò un altro agnellino».
Nel pomeriggio tardi Dritte aveva appena terminato il secondo agnellino quando Pino, un povero orfanello, venne a salutarlo. «Oh! che meraviglioso agnello», disse. «Posso averlo per piacere?». «Sì tienilo pure, Pino, io ne intaglierò un altro».
E così fece. Ma il bambino dai capelli d'oro non ritornò, e l'agnellino rimase abbandonato sullo scaffale della bottega.
La situazione del villaggio continuava a peggiorare e Dritte cominciò ad intagliare giocattoli per i bambini del villaggio per far loro dimenticare la fame. Un giorno un mercante di passaggio si offrì di comperare tutti i giocattoli che Dritte riusciva ad intagliare. Dritte rifiutò di intagliare giocattoli per denaro: «Sono alla locanda», disse il commerciante, «in caso cambiate idea».
La piccola Marta era molto malata e Dritte, per farla sorridere, le regalò l'agnellino che aveva conservato sullo scaffale della sua bottega. Mentre tornava dalla casa di Marta, incontrò il bambino dai capelli d'oro.
«Ho tenuto l'agnellino fino ad oggi, ma tu non sei venuto. Ne farò subito un altro».
«Non ho bisogno di un altro agnellino» disse il fanciullo scuotendo il capo, «quelli che hai donato al piccolo zingaro, a Pino e a Marta li hai donati anche a me. Fare un giocattolo può servire alla gloria di Dio quanto intagliare un santo».
Un attimo dopo il fanciullo era scomparso.
Quella notte Dritte si recò alla locanda.
«Costruirò giocattoli per voi», disse.
«Allora avete cambiato idea» sussurrò il mercante.
«No», rispose Dritte con gli occhi scintillanti, «ma ho ricevuto un segno da Dio!»
fonti varie
Marcello Spadola
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