Campione in controluce: Davide Astori
Nessuno di noi aveva un’idea personale o particolarmente significativa su Davide Astori, eppure alla notizia scioccante della sua morte si è accompagnata una strana sensazione di intimità, come se fosse molto più vicino a noi di quanto pensavamo, come se, in un certo senso, lo conoscessimo. All’improvviso abbiamo preso consapevolezza di quanto ci fosse familiare il suo volto, il suo modo di giocare, il suo modo di essere. E, con questa consapevolezza, ci siamo resi conto di quanto profondamente ci addolorasse la sua perdita: anche attraverso la bolla di solito ambigua dei social network, la copertura mediatica rispettosa e goffa, si riusciva a capire quanto il sentimento della sua scomparsa fosse profondo, autentico e senza ipocrisie.
La morte di Astori mi ha fatto capire cos’è che amo dell’essere un tifoso di calcio. Non del bel calcio: lo spettacolo di una bella partita, o la meraviglia di un perfetto gesto tecnico. Ma neppure del calcio in sé: la migliore delle storie di rimonta o la più istruttiva delle analisi tattiche. No, proprio dell’essere tifoso: quello che è felice perché la sua squadra vince o è triste perché la sua squadra perde.
Tifare una squadra vuol dire acquisire un’altra personalità, un’altra dimensione nella quale – per le persone che hai intorno, e quindi inevitabilmente anche per te stesso – sei quella squadra. Se la Fiorentina perde male una partita, è naturale sentirsi domandare “che cazzo avete fatto domenica?”, come se quella sconfitta fosse colpa mia. Allo stesso modo, se l’Inter vince un trofeo io non penso a quella squadra, al suo presidente o alla sua società: penso immediatamente alla felicità dei miei amici interisti, che per me sono l’Inter.
Ovviamente nessuno di noi è davvero convinto di essere la Fiorentina o la Juventus, ma è in questo autoironico senso di grandiosità, dell’accettare di prendersi in giro fingendosi importanti, che si realizza la magia del trovare significato e gioia in uno sport come il calcio. Il mio essere un tifoso non si declinerà mai nel picchiare qualcuno o nel perdere il senno in nome della squadra; ma di certo, quotidianamente, opero la spericolata decisione di affidare un po’ della mia felicità a questo gioco, per mezzo delle persone alle quali voglio bene.
Non è il legame che l’adolescente ha con la celebrità dei suoi sogni: Astori non era il mio idolo, e fra i giocatori che sono stati capitani della Fiorentina non è certamente il più emblematico. Eppure il personaggio che gli appassionati di calcio, e i tifosi della Fiorentina in particolare, vedevano in Astori ispirava un’indecifrabile fiducia, un’inspiegabile autenticità.
Se si vanno a leggere le cose che sono state scritte o dette di lui in questi giorni non ce n’è una peculiare, solamente il più completo campionario delle più consumate banalità. Un esempio per tutti. Sguardo pulito. Un uomo vero. Più la persona dell’atleta. Sempre sorridente. Un calciatore umile. Mai sopra le righe. Cuore buono. Ragazzo acqua e sapone. Persona perbene, anzi PERSONA PERBENE, come ha scritto Buffon.
Eppure mentre rileggo ciascuna di queste frasi vuote, che in centinaia di circostanze abbiamo sentito associare a chiunque, sento la necessità di protestare nei confronti di un interlocutore immaginario: «no, ma questa volta è vero!».
Astori era, in questo modo strano, una persona presente nella mia vita, che aveva il potere di influenzare la mia felicità, di cui pensavo di conoscere la personalità e con la quale avevo costruito – da tifoso – un unilaterale rapporto personale.
Perché per tutti era come se Davide Astori fosse un mio amico, una persona a me cara, un ragazzo al quale ero affezionato. E, in fondo, non avevano tutti i torti.
fonti varie
Marcello Spadola
Davide Astori |
La morte di Astori mi ha fatto capire cos’è che amo dell’essere un tifoso di calcio. Non del bel calcio: lo spettacolo di una bella partita, o la meraviglia di un perfetto gesto tecnico. Ma neppure del calcio in sé: la migliore delle storie di rimonta o la più istruttiva delle analisi tattiche. No, proprio dell’essere tifoso: quello che è felice perché la sua squadra vince o è triste perché la sua squadra perde.
Tifare una squadra vuol dire acquisire un’altra personalità, un’altra dimensione nella quale – per le persone che hai intorno, e quindi inevitabilmente anche per te stesso – sei quella squadra. Se la Fiorentina perde male una partita, è naturale sentirsi domandare “che cazzo avete fatto domenica?”, come se quella sconfitta fosse colpa mia. Allo stesso modo, se l’Inter vince un trofeo io non penso a quella squadra, al suo presidente o alla sua società: penso immediatamente alla felicità dei miei amici interisti, che per me sono l’Inter.
Il funerale di Davide Astori |
Non è il legame che l’adolescente ha con la celebrità dei suoi sogni: Astori non era il mio idolo, e fra i giocatori che sono stati capitani della Fiorentina non è certamente il più emblematico. Eppure il personaggio che gli appassionati di calcio, e i tifosi della Fiorentina in particolare, vedevano in Astori ispirava un’indecifrabile fiducia, un’inspiegabile autenticità.
Se si vanno a leggere le cose che sono state scritte o dette di lui in questi giorni non ce n’è una peculiare, solamente il più completo campionario delle più consumate banalità. Un esempio per tutti. Sguardo pulito. Un uomo vero. Più la persona dell’atleta. Sempre sorridente. Un calciatore umile. Mai sopra le righe. Cuore buono. Ragazzo acqua e sapone. Persona perbene, anzi PERSONA PERBENE, come ha scritto Buffon.
Eppure mentre rileggo ciascuna di queste frasi vuote, che in centinaia di circostanze abbiamo sentito associare a chiunque, sento la necessità di protestare nei confronti di un interlocutore immaginario: «no, ma questa volta è vero!».
Astori era, in questo modo strano, una persona presente nella mia vita, che aveva il potere di influenzare la mia felicità, di cui pensavo di conoscere la personalità e con la quale avevo costruito – da tifoso – un unilaterale rapporto personale.
Perché per tutti era come se Davide Astori fosse un mio amico, una persona a me cara, un ragazzo al quale ero affezionato. E, in fondo, non avevano tutti i torti.
fonti varie
Marcello Spadola
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