Il Football di Marcello Spadola: Roberto Baggio

Il FootbaldiMarcelloSpadola:RobertoBaggio Il 18 febbraio di alcuni anni fa, fuoriclasse in campo e fuori, Roby Baggio con la sua famiglia ha trascorso il giorno del suo compleanno assieme ai  terremotati di Amatrice e Norcia. L'ha fatto in silenzio com'è suo costume. Ha compiuto un gesto nobile, lontano dai riflettori nelle intenzioni, semplicemente per vedere, capire ed essere vicino a chi ha perso molto se non tutto.


Roby Baggio

Se fosse un sito culturale o naturale, sarebbe inserito nella lista dei beni  patrimonio dell'umanità dell'Unesco, ma Roby, 16° nella classifica dei migliori calciatori del 20° Secolo", 7o° in quella dei più grandi calciatori di tutti i tempi di Coppa del Mondo  e "World Peace Award" nel 2010, appartiene e apparterrà sempre a tutti ed in particolare a chi ama il calcio prima delle maglie, a chi sa applaudire una giocata vera fatta prima col cervello e poi con i piedi. A chi apprezza un gol da calcio d’angolo, a chi si emoziona per un passaggio che, sulla carta, non esiste. A chi si ricorda il rigore sbagliato o la barella che lo porta fuori dolorante. A chi si ricorda il gol con la Cecoslovacchia quando si chiamava “Cecoslovacchia”. Roby! Nel vicentino lo chiamano così, non "divin codino" nè "Raffaello" e, se non è partito come spesso fa alla volta dell'Argentina per le sue amate battute di caccia, forse qualcuno potrebbe avere la fortuna di dirgli buon compleanno di persona qui o altrove dove la sua ispirazione gli suggerisce. Perché quando non è impegnato  a districarsi tra folle di fans dagli occhi a mandorla in delirio, lo si può





Roberto Baggio 



Roberto Baggio, ricevuto il premio, nel suo discorso di
ringraziamento comunica che dividerà il premio
con gli alluvionati




                           


Roberto Baggio alla cerimonia con il Dalai Lama.



incontrare nell'hinterland, magari a ordinare una torta per il compleanno di uno dei suoi nipotini.


Chiunque ami il calcio, o ne sia solamente appassionato, non può non ricordare le sue magie sui campi di tutto il mondo, la sua leggerezza e la classe innata, che lo ha portato nonostante moltissimi infortuni, ad essere protagonista indiscusso di questo sport e diventarne una leggenda. Mi piace ricordare di Baggio anche altri assist oltre quelli che spesso in modo geniale ha confezionato per i compagni di squadra, quelli cioè fatti in difesa dei diritti umani e che gli sono valsi primo caso di calciatore al mondo il "World Peace Award" nel 2010 a Hiroshima, votato dai premi Nobel. A 52 anni la vita è fatta di altre partite e si può segnare in altri modi. A 52 anni Roberto Baggio è fuori: dal gioco, dal calcio, da ogni falò delle vanità. Ha smesso da oltre dieci anni di misurare il mondo con le righe del campo. Non rilascia interviste, non parla di calcio, non presenzia. Gli è riuscita la magia di scomparire dal palcoscenico, di evitare l'invenzione della nostalgia, niente più c'era una volta in



Roberto Baggio in Perù come ambasciatore della FAO incontra a Lima 
i ragazzi della Oscar Ibanez's Football School



America. Se n'è andato senza avere conti in sospeso con i ricordi, fedele all'idea che un addio è un pallone che non torna indietro eppure è stato il precursore dei Messi e dei Neymar, l'ultimo attaccante italiano Pallone d'oro nel 1993, e l'anno dopo poteva ripetersi ma giunse secondo dopo Stoichkov. L'unico azzurro ad aver segnato in tre mondiali diversi  '90, '94, '98, miglior marcatore 9 gol con Rossi e Vieri. Selezionato in nazionale con cinque squadre diverse: Fiorentina, Juventus, Milan, Bologna e Inter. Convocato da 4 commissari tecnici : Vicini, Sacchi, Maldini e Zoff. Osteggiato e contestato da molti di più, spesso trattato da zoppo, da numero 10 dimezzato. Un atipico, uno col codino, poco macho, e per di più buddista. Un nove e mezzo per Platini. Un asso rococò che mette il dribbling anche nel caffellatte, per Gianni Brera. Un involontario agitatore sociale, per l'avvocato Agnelli. "Una volta scendevano in piazza per protestare contro la Fiat, oggi perché Baggio non vada alla Juve. Direi che il paese è migliorato". Questo prima che Baggio si rifiutasse in maglia bianconera di battere un calcio di rigore


The Governor of Hiroshima spoke. Then the Summit presented its
 annual award





The Nobel Laureates paying respect at the Hiroshima Peace Memorial 
on November 14th, 2010.




contro la Fiorentina, ma soprattutto contro la sua ex città Firenze, che per tenerlo era scesa in piazza, come una madre che non si lascia strappare il figlio, scontrandosi con la polizia, con le vecchiette che dalle terrazze di piazza d'Azeglio gettavano i loro vasi di gerani e di limoni contro gli agenti. Baggio per la città era un bene culturale, un quadro degli Uffizi, un Michelangelo moderno, fa niente se nato in Veneto, era comunque un fratello rinascimentale, pure la sua ricerca del tiro a giro sul secondo palo. Tanto che il questore definì la rivolta "una psicosi di folla", senza capire che il calcio nelle sue geometrie distribuisce sentimenti e che il cuore non sempre può essere dribblato. Baggio è uscito dal campo il 16 maggio 2004, dopo sedici anni di sorrisi, ma anche di dolori e di ginocchia sfasciate, con una sola frase: "Ho dato tutto". Baggio non ha mai preteso, né comandato, né commentato. Soprattutto dopo la sua conversione buddista: "Tutto arriva dentro di me a mia insaputa". È rimasto un figlio della società contadina, uno che amava giocare a calcio, non parlarne, tutto quello che rotola attorno al pallone non gli interessa. Non ha mai voluto costruire un impero, gli bastava essere il cavaliere della passione. Baggio, il discusso ma inarrivabile, il non facile da comprendere nella sua complessa semplicità, non lo ricorderemo mai come dirigente, allenatore riciclato, commentatore da campo o telecronista reinventato né tantomeno opinionista da salotto perché la sua eredità la troveremo sempre sul manto erboso di un campo di calcio. Non un tatuaggio o un’esultanza. Non uno spot da TV o una marca di scarpini. E’ Roberto Baggio e tanto basta. Tra le tante, la cosa forse più preziosa di Roby, e la dico in conclusione, è che ciascuno di noi conserverà un’immagine, un ricordo diverso del giocatore e si porterà dentro almeno una emozione che sarà speciale come se ce l'avesse voluta donare con una dedica personale. A me il 19 giugno 1990 all'Olimpico nella partita dei mondiali contro la Cecoslovacchia ha regalato l'immagine di bellezza ed estro di un artista esile e minuto che scivola con la sua maglia azzurra tra gli energumeni cecoslovacchi come in una danza rituale conclusa con un gol raro come un diamante che ha segnato un'epoca.
Fonti varie
Marcello Spadola

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